Dorian Gray

Oliver Parker porta sullo schermo una delle opere più celebri di Oscar Wilde. Scivolando, però, nel gotico e nell'horror.
Dorian Gray

Ci vuole coraggio per rovinare il racconto raffinato di Oscar Wilde, un inno alla bellezza e alla giovinezza ad ogni costo, anche venendo a patti col male(l’aveva già fatto il Dottor Faust, certo con meno leggerezza di Wilde). Qui Oliver Parker, che ha sempre amato dirigere versioni filmiche dello scrittore inglese, si fa prendere dal suo amore per il decadentismo e ci costringe per quasi due ore a vedere l’ex Principe Caspian (Ben Barnes), più pallido del solito e forzatamente “cattivo”, cadere nella rete dell’educatore perverso verso la seduzione (Colin Firth) con stancanti scene voyeuristiche al limite del sopportabile, per quanto condite dalla battute (sublimi nel loro contesto originale) di Wilde. Lussuoso, estetizzante, il prodotto scivola poi nel gotico e nell’horror, togliendo l’ironia incantevole e dolorosa nascosta sotto il racconto. Un’occasione sprecata.

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