Dibattito sulla libertà di informare

Pubblichiamo una lettera ricevuta dall'Ungheria a proposito della libertà di stampa nel paese in risposta ad un commento apparso sul numero quattro della nostra rivista
Giornalista con videocamera

Un lettore ci scrive a proposito del commento su "Ungheria e libertà di stampa” a pag. 78 del numero 4 di Città Nuova. Nel pezzo si evidenziava la complessa realtà della stampa in Europa: l’Ungheria e l’Italia venivano citati come casi emblematici a proprosito del rapporto tra libertà d’informazione e proprietari dei media stessi.

 

«Ringraziando per la risposta imparziale alla domanda di A. T., mi sembra necessario parlare anche del contesto che ha suscitato la domanda, perché essendo la situazione ungherese e italiana completamente diversa, involontariamente lascia nel lettore un’impressione totalmente diversa da quella che è la realtà.

In Ungheria, dopo 40 anni di dittatura, nel 1989 è avvenuto il cambiamento di regime. Nonostante ciò nel campo della comunicazione non è avvenuto un vero cambiamento. I vecchi dirigenti si sono impossessati della maggior parte dei soldi della nazione, con l’aiuto dei quali sono potuto arrivare ad un grande vantaggio, anche nel campo dei mezzi di comunicazione. Il governo liberal-socialista anche nel lungo periodo di maggioranza (2002-2010) ha rubato dal capitale del Paese e del popolo un’enorme quantità di denaro, accumulando un grandissimo debito. Nel 2006, quando la gente si è resa conto della frode, sono iniziate manifestazioni pacifiche con 1 milione di partecipanti (la popolazione ungherese è di 10 milioni).

 

La polizia, senza motivo fondato, ha cominciato a colpire la folla con idranti, manganelli e spari di pallottole di gomma, ha bastonato persone inermi a terra, e se si accorgeva di qualcuno che faceva riprese video rompevano la telecamera e picchiavano il responsabile. Diverse persone innocenti e ferite hanno subito o rischiato di subire un processo penale. I poliziotti, al contrario, non avevano il codice di riconoscimento, e potrei fare l’elenco della quantità di ingiustizie.

 

Di tutto ciò, i media „liberi e non di parte” quanto hanno fatto giungere all’Ovest? Tutto questo nel 2006, nel periodo di potere di coloro (liberali e socialisti) che ora al parlamento Europeo a voce alta protestano contro i pericoli che minacciano la stampa.

L’Ovest, che richiede la liberà di stampa, cosa ha fatto per il popolo ungherese? Quanti hanno saputo dei fatti avvenuti? E se non ha agito o non era a conoscenza dei fatti, ora c’è la possibilità di rendersi conto che allora non c’era libertà di stampa. Coloro che adesso dirigono la vita politica ungherese sono quelli che servono il bene del popolo. L’Unione Europea ha ora la possibilità di rimediare alla precedente mancanza di informazione, dando un reale punto di vista sulla situazione ungherese e sul ruolo di Orbán Viktor. Sì, reale, e non un punto di vista diffuso in modo artificiale da gruppi di interessi che generano isteria, oppure secondo gli interessi di altri Stati membri più grandi. Questo è quanto si aspetta il popolo ungherese.

 

Gli ungheresi, con la guida del carismatico Orban Viktor, hanno atteso le nuove elezioni e, nonostante l’enorme pressione liberal-socialista sulla Tv, radio e stampa, hanno votato il cambio di governo con i due terzi della maggioranza. Alcuni anni fa la diffusione del giornale Népszabadság liberal-socialista era di 1 milione di copie. Il giornale Magyar Nemzet, dell’attuale governo Orbán, era di sole 62mila copie.

 

Nell’informazione pubblica ancora oggi hanno un ruolo importante membri del vecchio regime. Sono presenti anche nel Parlamento e anche tra i parlamentari europei. Sono membri di un partito che fanno proprio lo sfruttamento della gente, i maltrattamenti fisici e il ruolo di eredi di un partito che con la dittatura ha commesso molti atti oscuri. Fino a poco tempo fa c’erano alcuni che ancora lavoravano attivamente tra i parlamentari europei e che di proprio pugno avevano picchiato persone. Un membro del partito socialista ungherese può parlare nel parlamento europeo come portavoce della libertà di stampa con un passato di questo genere.

E tutto ciò mentre ancora oggi la maggioranza dei mezzi di informazione è nelle mani dei liberal-socialisti (anche se sono già avvenuti decisi movimenti in direzione di un maggiore equilibrio anche in questo campo): Népszabadsag (testata di opposizione socialista) ha venduto 81.980 copie negli ultimi 4 mesi del 2010, mentre Magyar Nemzet (del partito Fidesz, al governo) 62.286 copie.

 

Io vivo a Szeged, la seconda più grande città. Vi è solo un unico quotidiano importante: il socialista Délmagyarország. E non c’è neppure speranza che il partito di governo avvii un quotidiano. Non a caso, nonostante i tanti scandali, nuovamente è stato eletto un sindaco socialista. 

Riassumendo: in Ungheria le persone (e anche Orbán Viktor) non vogliono vantaggi ma possibilità di eguaglianza, e che ci sia un cambiamento di regime anche nei mezzi di informazione. Dall’Ue invece attendiamo che, dopo la grave dimenticanza avvenuta 5 anni fa, non rincari la dose con l’ostacolare un’aspirazione del popolo. Inoltre chiediamo di non trattare Orbán Viktor, il nostro leader carismatico, come fosse un dittatore, ma come colui che è alla guida del popolo ungherese, colui che nel mare di calunnie e attacchi, ha guidato con mezzi democratici il popolo ad ottenere un risultato davvero grande. E se la libertà di stampa e la democrazia ha bisogno di protezione o viene messa sotto accusa, lo si chieda al popolo ungherese, che è l’interessato. La libertà di stampa deve essere concessa ai popoli piccoli come a quelli grandi.

 

A Città Nuova, come vero strumento per formare un’opinione, chiediamo che si informi direttamente sui miracoli che sono avvenuti in Ungheria grazie a Orbán Viktor. Chiediamo infine alla redazione e ai lettori di gioire con noi, perchè anche se qui non è tutto perfetto, stiamo realizzando ciò che il giornale annuncia con coerenza: il contributo del singolo serve il bene pubblico. Ai credenti invece chiediamo di non dimenticarsi di pregare per noi, perchè qui non si tratta solo delle sorti dell’Ungheria».

 

Ringraziando, Perlaki Flórián

 

 

La ringraziamo per la sua lettera, che ci offre un punto di vista diverso da quelli che giungono sui nostri media. Certo c’è stata e c’è un’insufficiente conoscenza della realtà ungherese, per cui diventa facile giudicare un intero Paese sulla base di una legge che trova le sue radici nel contesto difficile da lei dipinto, e non può essere capita senza tenerlo presente. Tuttavia alcuni dubbi rimangono.

 

La legge infatti prevede che l’Autorità nazionale per le comunicazioni abbia il potere di imporre multe molto pesanti (fino a 700 mila euro) o di sospendere la pubblicazione di quelle testate che abbiano dato informazione «sbilanciata» o «immorale». La definizione estremamente vaga di queste violazioni, unitamente al fatto che tutti i membri dell’Autorità appartengono al partito di governo e al diritto di accesso ai materiali già prima della pubblicazione, non può non porre il rischio che tali poteri vengano abusati. Inoltre le potenziali multe sono così alte, e il processo di appello così lungo, da costringere di fatto alla chiusura tutti quei media che non si possono permettere simili spese.

 

Non solo l’Unione europea e l’Osce, ma anche operatori del settore e ong – voci autorevoli come Freedom House, la Federazione europea dei giornalisti e Human rights watch – hanno espresso la loro preoccupazione. La questione non si limita dunque ad un gioco politico interno agli Stati membri dell’Ue, ma solleva una domanda più vasta: fino a che punto, per garantire la pluralità e la correttezza dell’informazione, è giusto porre in essere dei controlli che limitano l’informazione stessa? Si dirà che ogni popolo ha il diritto di deciderlo in base alla propria situazione specifica: ma le critiche dell’Ue e di altre ong si basano sulla non conformità di questo provvedimento alle direttive comunitarie (rispetto alle quali l’Ungheria si è infatti adeguata) e alla Carta europea dei diritti fondamentali. Regole comuni a cui ha aderito una comunità di Stati, che si sente dunque chiamata in causa quando vengono toccate. Dice dunque bene che non sono in gioco solo le sorti dell’Ungheria: proprio per questo tutti siamo coinvolti nell’avere un approccio critico alla questione.

 

Non possiamo che augurarci che il dibattito sollevato sia l’occasione non solo per conoscere meglio l’Ungheria e aiutarla a garantire nel modo migliore la libertà di stampa, ma anche per riflettere su questo tema in un Paese come l’Italia che, ricordiamolo, è classificato al 72° posto al mondo come «parzialmente libero» da Freedom House.

 

Chiara Andreola

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