Diario dalla Siria/23

Un mortaio si abbatte sul tetto della chiesa: i giovani ragazzi del coro restano feriti nell'attacco. Anche chi resta fuori dal conflitto viene in qualche modo coinvolto e ne paga le conseguenze. Per questo, chi può lascia il paese. Ma c'è anche chi non si arrende
La Siria sotto le macerie: ma c'è chi non si arrende.

«La serata ieri è finita male. Finora i colpi erano stati ricorrenti, ma non troppo. Ad ogni esplosione si sussulta, ci si rattrista, ma ormai sono quasi abituali per le nostre orecchie, come i tuoni in una giornata di pioggia battente. Verso le 19 riceviamo una telefonata. I nostri amici iracheni che avevamo visto sabato pomeriggio si trovavano in chiesa per le prove di canto, prima della messa serale. Sono bravi musicisti e la sorella ha una voce deliziosa. C’era con loro anche Walid, che suona l’oud in modo eccellente e che ora, per mantenere la giovane sposa e la bimba di un anno va a suonare, come terzo lavoro, nei ristoranti che ancora hanno clienti.

«Un mortaio è caduto sulla chiesa sfondando il tetto. Panico tra la corale, polvere, in terra c’è la sorella di Walid, colpita da una grossa scheggia. Una corsa all’ospedale dove la operano quasi subito, ha una ferita al naso e altre più leggere al braccio. Rimango impressionata, fortemente.

«Giovani che erano fuggiti dalla guerra ne pagano anche qui le conseguenze. Alcuni di loro dopo anni di attesa sono finalmente sul punto di emigrare per riunirsi ai parenti al di là dell’Oceano, c’è chi invece questa possibilità non ce l’ha e deve restare qui, per forza. Parliamo al telefono con Walid, sono tanti gli amici che anche da altre città hanno già saputo la notizia da facebook e gli sono vicini. Bastano poche parole. Mi colpisce la forza d’animo e la determinazione: "Con la corale abbiamo deciso di ritrovarci domenica prossima di nuovo per le prove e per la messa. Non vogliamo arrenderci!"».

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