Diario dalla Siria/1

Alcuni amici del Movimento dei Focolari sono rientrati dopo due mesi nel Paese dilaniato dalla guerra e dalla fame. Ci raccontano la quotidianità di questo popolo che da due anni vive sotto le bombe, nell’indifferenza, o quasi, della comunità internazionale. Città Nuova pubblicherà ogni giorno la loro testimonianza per sollecitare iniziative di pace
Siria bombardamenti

La presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, ha lanciato una campagna internazionale per fermare il conflitto siriano e chiedere che le trattative di pace riprendano per il bene di milioni di cittadini inermi e indifesi. Il Time out, il minuto di silenzio e di preghiera che alle 12 in tutto il mondo sarà indirizzato alla Siria, per il nostro giornale diventa la pubblicazione di un diario che alcuni amici della comunità dei focolari ci scrivono direttamente da Damasco e da Aleppo.

«Ieri dopo due mesi di assenza. Non avendo un posto per noi, non abbiamo più una casa, ci siamo rifugiati in un caffè. Abbiamo incontrato alcuni amici della comunità dei Focolari. Ci siamo raccontati i disagi, ma abbiamo pianificato anche un viaggio ad Hama, nel Centro-nord, via quasi obbligata per arrivare ad Aleppo, nostra destinazione finale. Ci hanno assicurato che la strada fin lì è buona. Ci chiediamo se Dio benedirà questo viaggio, se non sia un azzardato avventurarsi. La Siria non è più quella di prima dove si poteva viaggiare anche alle quattro del mattino con tutta sicurezza. Ogni giorno arrivano notizie di rapine e massacri. Arriviamo alla stazione dei bus alle 10 e fortunatamente il pullman sta partendo. Lo prendiamo giusto. Ce l’abbiamo fatta.

«Un bel sole che illumina il paesaggio. Passiamo accanto alle città nei dintorni di Damasco: quasi deserte e con i segni dei combattimenti armati ben visibili. Tutto è calmo, la gente va e viene con prudenza. L’autostrada è piena di pullman e camion che percorrono l’arteria principale che collega il Paese da Nord a Sud. Lungo la strada vediamo la catena montuosa al confine con il Libano, tutta bianca per la neve fresca. Attraversiamo vari posti di blocco dell’esercito siriano. Si controllano i documenti d’identità. Tutti sono calmi: sia i soldati, sia la gente.

«ln viaggio facciamo conoscenza con l’assistente dell’autista, che ci racconta che vorrebbe andare a lavorare in Libano come meccanico. Non può più abitare ad Aleppo: troppo pericoloso. I militanti del cosiddetto Esercito libero l’hanno tenuto in ostaggio per 10 giorni e hanno minacciato la sua famiglia. Ha subito torture e la sua famiglia ha dovuto sborsare una cifra enorme per il rilascio. Alla fine anche la sua casa è stata bombardata e si è dovuto rifugiare con la famiglia ad Hama.

«Due studenti universitari musulmani stanno progettando, anche loro, di lasciare il Paese e fuggire a Dubai per evitare il servizio militare. Rimpiangono la Siria di un tempo e sanno che non tornerà più. "Peccato – dicono – non esser riusciti a sviluppare riforme serie, percorsi politici migliori. Ora ci vorranno decenni per ricostruire e sembra quasi impossibile risanare le ferite e trovare una via di uscita a questa guerra assurda". Sono le 14.15 e siamo arrivati ad Hama. Ci aspetta Fouad col suo taxi. Il pranzo è a casa di un sacerdote greco-cattolico. La moglie e i cinque figli ci accolgono con gioia. Tanti amici passano a salutarci. Siamo stanchi, ma la guerra non ha ancora distrutto ospitalità e accoglienza».

 

 

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