Dalla democrazia rappresentativa a quella partecipativa

Difendere la libertà delle persone è l'impegno sottolineato all'inaugurazione del IX Forum internazionale dell’Informazione per la salvaguardia della natura. Dal nostro corrispondente
Greenaccord

«L’attuale forma di democrazia rappresentativa, che prevede di delegare agli eletti la gestione della cosa pubblica, si è dimostrata non sempre in grado di dare le giuste risposte ai problemi che affliggono l’umanità. Ecco perché bisogna ripensare il modello di democrazia, partendo dall’idea forte che la democrazia è partecipazione. C’è una fetta di cittadini, sempre più ampia, che chiede un nuovo modello di sviluppo e pretende dai politici scelte coraggiose e lungimiranti». Così il presidente di Greenaccord Onlus, Alfonso Cauteruccio, ha inaugurato il IX Forum internazionale dell’Informazione per la salvaguardia della natura con “People building future: media, democrazia e sostenibilità”, ospitato quest’anno a Cuneo, che parte dall’ipotizzare un nuovo modello di democrazia partecipativa.

 

Passare dalla democrazia rappresentativa alla partecipazione sostanziale delle popolazioni locali è la strada indicata dal brasiliano Euclides Mance, fondatore del World social forum.«La democrazia non è solo forma ma anche contenuto. Il principio fondamentale di una vera vita democratica è difendere la libertà delle persone – spiega Mance -. Ma che cosa vuol dire questo? Significa garantire il diritto a mangiare, a poter vivere una vita dignitosa, a essere informati correttamente, ad avere un’educazione valida e a vivere in un ambiente sano e non degradato». Ma in quante democrazie avviene davvero questo? In quanti Stati le persone possono davvero decidere sulla gestione delle risorse collettive e dei beni comuni?

 

La proposta di un nuovo modello di sviluppo non è emersa né all’interno del mercato né nell’ambito delle istituzioni statali, ma grazie alle reti collaborative che danno voce alle istanze dei cittadini. Una vera e propria rivoluzione, quella delle reti, che sta diffondendo una critica culturale e propone un altro modo di vivere. La loro estensione è essenziale per ridurre il potere delle lobby e dare allo Stato il potere di difendere davvero gli interessi collettivi.

 

Ma per fare questo, dobbiamo criticare a fondo l’idea stessa delle imprese capitalistiche: non è democrazia un sistema in cui il fatturato di una sola azienda, come Wal Mart, nel 2010 è stato di 422 miliardi di dollari, superiore al Prodotto interno lordo di 179 Paesi. Né che questa azienda abbia ottenuto profitti in un solo anno per 16 miliardi, cifra superiore al Pil di 79 Paesi. Senza democratizzazione dell’economia non si potrà avere democratizzazione della politica.

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