Da nemici ad amici

Lui credeva di aver ucciso il suo nemico. Due soldati, uno britannico l’altro argentino, che si fronteggiarono durante la guerra delle Malvinas, nel 1982, hanno potuto riabbracciarsi
Militari che si stringono la mano

Uccidere non è cosa che la nostra psicologia tolleri facilmente. Anche in guerra, quando si direbbe che ciò corrisponde a compiere un dovere. Lo sa bene l’ex artigliere della marina britannica Neil Wilkinson che per anni ha avuto davanti agli occhi l’immagine dell’aereo che colpì col cannone Bofors. «Credevo che il pilota fosse morto, non c’era modo di uscire vivi da quel velivolo» si è ripetuto ossessivamente per anni.

 

25 maggio del 1982, siamo nei giorni in cui la guerra delle Malvine sta offrendo il suo più tragico tributo di sangue. Tre Skyhawk A4 argentini prendono il volo dalla base di Rio Gallegos con la missione di attaccare, insieme ad altri apparecchi, le navi britanniche nell’arcipelago. In realtà non sapevano che si trattava di una trappola ideata per distrarli dalla zona di sbarco delle truppe britanniche e liquidarli. Uno degli aerei era pilotato dall’allora giovane tenente Mariano Velasco. Uno dietro l’altro furono abbattuti vari velivoli. Un paio di Skyhawk riuscirono a scaricare le loro bombe contro il caccia HMS Conventry che affondò in una manciata di minuti. L’azione provocò 19 vittime tra i marinai di Sua Maestà. Mentre gli aerei argentini cercavano di allontanarsi dalla zona, in pochi secondi, furono inquadrati dagli artiglieri dell’HMS Intrepid e fu proprio Wilkinson a fare centro sull’apparecchio di Velasco.

 

«Il mio compito era di fermarli per proteggere la nave» ha pensato molte volte Wilkinson, ma l’idea di aver stroncato una vita umana lo ha torturato per anni. Un trauma da post-guerra che gli ha dato del filo da torcere. Finché un giorno, mentre seguiva un documentario televisivo su quella battaglia, Wilkinson è rimasto esterrefatto assistendo al racconto del comandante Velasco che in exstremis riuscì a salvarsi.

 

Quel giorno la flemma britannica di Wilkinson si trasformò in una gioia incontenibile. Successivamente, una serie di riscontri e ricerche gli confermarono che si trattava proprio della persona a cui aveva sparato. Le ricerche sono continuate fino a trasformarsi in una sorta di pellegrinaggio conclusosi nella città argentina di Cordoba, dove oggi risiede Velasco e dove ha potuto abbracciare colui che oggi definisce "un amico". «Non ci sono parole – commenta Wilkinson –, è un cerchio che si chiude prorpio grazie a questo incontro con lui "in carne ed ossa"».

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