Cristiani testimoni di fede in una società in difficoltà

Benedetto XVI sottolinea la necessità di una rinnovata fede per affrontare le sfide di una società caratterizzata da precarietà e indebolimento dei valori etici
Benedetto XVI

In un’epoca caratterizzata da profondi cambiamenti, che possono generare scoraggiamento e un senso di insicurezza dovuto alla precarietà sociale ed economica, acuiti da un indebolimento dei principi etici e degli atteggiamenti morali personali, i cristiani devono professare con rinnovata risolutezza la propria fede, mentre la società e le istituzioni pubbliche devono ritrovare la loro “anima”, per tornare a proporre valori etici e giuridici di riferimento. Lo ha detto, venerdì 21 gennaio, Benedetto XVI, ricevendo per la prima volta in Vaticano il personale della Questura di Roma: 1.200 tra agenti e dirigenti, accompagnati dai familiari e da un gruppo dell’Associazione nazionale della polizia di Stato, guidati dal questore Francesco Tagliente.

 

Nel corso del suo discorso, il pontefice ha parlato delle nuove sfide che attendono i cristiani, i quali di fronte alla «tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano destinate all’insuccesso», hanno la «responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggio ad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze».

 

Le parole di Benedetto XVI corroborano quanto già detto nei giorni scorsi dal segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, che aveva invitato «coloro che hanno una responsabilità pubblica di ogni genere e in qualsiasi settore amministrativo, politico e giudiziario, ad avere e ad assumere l’impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità».

 

«Il nostro mondo», ha aggiunto il papa rivolgendosi agli agenti, «è attraversato dall’impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno».

 

Ai nostri giorni, ha proseguito, «grande importanza è data alla dimensione soggettiva dell’esistenza. Ciò, da una parte, è un bene, perché permette di porre l’uomo e la sua dignità al centro della considerazione sia nel pensiero che nell’azione storica. Non si deve mai dimenticare, però, che l’uomo trova la sua dignità profondissima nello sguardo amorevole di Dio, nel riferimento a Lui». Esiste inoltre un grave rischio, in quanto, ha spiegato il pontefice, «nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale».

 

La conseguenza è che la religione e la morale vengono confinate nell’ambito privato: «la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile. La religione – ha aggiunto Benedetto XVI – tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza. (…) Al contrario, per noi cristiani, il vero significato della "coscienza" è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla».

 

Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte esigono che Dio e uomo tornino ad incontrarsi, che «la società e le Istituzioni pubbliche ritrovino la loro "anima", le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica. La fede cristiana e la Chiesa – ha concluso il papa – non cessano mai di offrire il proprio contributo alla promozione del bene comune e di un progresso autenticamente umano».

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