Cristiani in uno stato laicista

Intervista a Anton Stres arcivescovo di Ljubljana. «Dopo la guerra dei Balcani cattolici e musulmani lavorano insieme e la fede sta scoprendo la sua dimensione sociale»
Anton Stres arcivescovo di Lubiana

 Anton Stres, 69 anni, è dal gennaio 2010 arcivescovo della capitale della Slovenia e presidente della conferenza episcopale. Fine intellettuale, attento ai “segni dei tempi”, ha uno sguardo ampio sulla situazione del suo paese e dell’Europa. Lo incontriamo nel suo studio al secondo piano del palazzo arcivescovile.

 

Eccellenza, come si presenta la situazione della chiesa, a vent’anni dall’indipendenza della Slovenia?

«Vent’anni fa abbiamo nutrito molte aspettative. Credevamo che la posizione della chiesa sarebbe stata simile a quella esistente negli altri stati. Le chiese che nella stessa epoca sono diventate indipendenti, come ad esempio quella croata, ungherese, polacca o serba, hanno costruito degli accordi di valore internazionale con i rispettivi stati. Da noi purtroppo ciò non accade. Abbiamo un piccolo   accordo, ma è un qualcosa di molto vago, che ha incontrato la contrarietà da parte del governo. Orientati da una posizione laicista-liberale, i nostri governanti puntano a far sì che sia solo lo Stato a ordinare e a provvedere a tutti gli aspetti della vita. Non esiste un dialogo sociale. Perciò oggi a causa di questa mancanza di rapporto, stiamo attraversando una crisi politica.

Un fatto macroscopico è, ad esempio, che la Slovenia, insieme alla Francia e all’Albania, ha la caratteristica di non avere alcun insegnamento religioso nelle scuole, perché proibito da una legge approvata dalla nostra corte costituzionale».

 

E i cristiani come vivono?

«Come vita interna della chiesa, la nostra situazione presenta aspetti simili a quelli dei paesi occidentali. Noi siamo il paese slavo più occidentale, e quindi più influenzato dai costumi dell’Ovest europeo. Anche durante il precedente sistema governativo, le nostre frontiere erano molto aperte, ogni cittadino possedeva il passaporto valido per dieci anni per qualsiasi paese.

La secolarizzazione sta avvenendo da noi con un piccolo ritardo, ma esiste. Ce ne siamo accorti verso il 2000, un momento di passaggio epocale in cui visibilmente ha iniziato a diminuire il numero della frequenza religiosa, anche se il 70 per cento delle persone si professano cattoliche.

Ora ci stiamo chiedendo come passare da una religiosità tradizionale ad una religione più autentica, in cui le persone abbiano un reale incontro con Cristo. I nostri sforzi pastorali sono orientati in questa direzione».

 

Quale compito hanno, secondo lei, i movimenti ecclesiali in questo progetto?

«Come ho detto alla signora Maria Voce, presidente dei Focolari, i movimenti hanno un posto molto importante. La fede personale infatti si risveglia nei rapporti interpersonali. Ciò significa che i gruppi, le comunità – anche dei Focolari – possono aiutare le nostre parrocchie ad essere comunità di comunità. Noi contiamo molto su di loro».

 

In Slovenia esistono altre confessioni cristiane ed altre fedi, come l’Islam. Immagino ci sia una collaborazione…

«Chi è credente, in Slovenia, è cattolico. Abbiamo una minoranza – lo 0, 8 per cento di evangelici all’est, al confine con l’Ungheria. Il gruppo più numeroso è formato dai musulmani. Con loro abbiamo ottimi rapporti di collaborazione basati anche sullo sforzo comune di conservare i valori della famiglia. L’attuale governo ha emanato una legge che pareggia la famiglia tradizionale ad altre forme di convivenza, come quella di persone dello stesso sesso. Noi stiamo approntando un referendum e i musulmani ci hanno dato un forte appoggio, manifestando insieme a noi contro questa legge mediante una dichiarazione pubblica. Per ora, i musulmani sono di origine bosniaca e non esiste un fondamentalismo».

 

Ora che è finita la grande guerra dei Balcani come sono i  rapporti tra voi e le altre nazioni?

«Non possiamo certo dimenticare il passato, ma abbiamo la coscienza che – pur essendo culturalmente molto diversi – per 70 anni siamo stati insieme. Siamo come una famiglia dove si è litigato, ma i l sangue non è acqua. Questo è ciò che sente la mia generazione, la quale comprende anche più o meno la lingua serba o croata, perché ci sono stati dei rapporti. Ma i giovani oggi non sanno nulla di questo: il loro è un altro mondo».

 

La Slovenia è situata tra l’Europa dell’est e l’occidente. Nel progetto della nuova evangelizzazione quale può essere il suo contributo specifico?

«Io credo che in tutti i paesi ex socialisti, compreso il nostro, nella gente si sia conservato il senso della preghiera personale profonda. Noi dobbiamo aprirci alla dimensione sociale di una fede che è ancora intimista. Perciò dedicheremo il prossimo anno alla conoscenza della dottrina sociale della chiesa. Nell’occidente, i cristiani sono molto inseriti nella realtà sociale,ma manca la fede personale e la preghiera. Questa dimensione può essere il contributo della nostra esperienza».

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