Contrastare la corruzione per uscire dalla crisi

Diversi studi hanno dimostrato la correlazione tra il livello di corruzione percepita e le variazioni del Pil. Ma, come dimostrano i dati di Transparency International, l'Italia ha molta strada da fare
corruzione

Dal 1995 Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa leader nella lotta contro la corruzione, elabora l’indice di corruzione percepita (Corruption perception index, Cpi) di 178 Paesi del mondo. Il Cpi posiziona i Paesi su una scala da 0 a 10, dove 0 rappresenta il massimo di corruzione.

 

Non meraviglia che i Paesi più corrotti siano quelli che da decenni conoscono guerre civili e dittature, come Somalia, Myanmar, Iraq, Afganistan. Tuttavia, il dato più clamoroso che si ricava dall’ultima pubblicazione – riferita al 2010 – è che la corruzione è davvero molto diffusa e preoccupante: il 75 per cento dei Paesi non raggiunge il valore di 5. Anche per i Paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che riunisce i Paesi più sviluppati) non ci sono buone nuove: se confrontiamo gli indici del 2010 con quelli del 2009, infatti, osserviamo che nessuno di questi ha visto uno spostamento verso l’alto. Anche se alcuni si posizionano a livelli alti di trasparenza (8-10), questo dato significa che tutti i Paesi avrebbero bisogno di dare impulso a migliori e più trasparenti meccanismi governativi.

 

 

Non ci sorprende, purtroppo, scoprire che l’Italia occupa la 67ma posizione con un valore del Cpi pari a 3,9 (e un trend decrescente, dato che nel 2001 era 5,5). Tra i 30 Paesi dell’Unione Europea ed Europa occidentale, l’Italia occupa la quartultima posizione: sotto di noi ci sono soltanto Romania, Bulgaria e Grecia. Abbiamo infatti tutti la percezione, e molti di noi anche l’esperienza diretta, che nel nostro Paese la corruzione sotto diverse specie (raccomandazioni, favori, bustarelle, oltre ad assenteismo ed evasione fiscale) sia alta e sia cresciuta negli ultimi anni. La Corte dei conti ha calcolato che il fenomeno corruttivo dentro le pubbliche amministrazioni è in costante crescita, e rappresenta la terza fonte di danno erariale in ordine di importanza.

 

Alcuni studi mostrano che il miglioramento di un punto del Cpi di quei Paesi in via di sviluppo che occupano le posizioni più basse della scala (1-3) porterebbe ad un aumento del tasso di crescita del Pil di ben quattro punti. Che esista una forte correlazione tra crescita economica e corruzione anche nei Paesi ricchi non è più in discussione, dato che numerosi studi empirici la mostrano con chiarezza; più difficile invece è misurare la direzione causa-effetto delle due variabili. In ogni caso sembra che non sia tanto il livello assoluto di corruzione di un Paese ad essere correlato alla crescita del Pil, quanto la variazione di quello di corruzione percepita.

 

Il livello di Cpi in Italia indubbiamente ci interpella. Esso appare al tempo stesso una spiegazione della grave situazione economica, finanziaria e di affidabilità in cui si trova l’Italia oggi, e anche un contributo alla sua soluzione. Varare una legge anticorruzione che scoraggi ogni forma di inquinamento dei processi decisionali nella pubblica amministrazione, come più volte ventilato e mai attuato, è decisamente auspicabile, anche come mezzo per uscire dalla crisi. La corruzione, che in modo efficace Trasparency International definisce come «abuso del potere delegato per benefici privati», significa diminuzione di produttività e di efficienza, spreco di risorse pubbliche, e qjuindi maggiori costi per tutti.

Una legge è necessaria e tuttavia sappiamo che non basterebbe; c’è bisogno di cambiare la cultura che informa molti dei nostri piccoli comportamenti quotidiani. Ognuno di noi sa cosa questo significhi nel suo ambiente e quanto tali atteggiamenti siano contagiosi. Basta cominciare.

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