Con la prevenzione si possono salvare le vite umane

È necessaria una mappatura della vulnerabilità dei fabbricati in Italia, dove si è costruito oltre il fabbisogno. Trenta milioni di abitazioni, senza contare palazzi e strutture pubbliche. Esistono tecnologie e i costi sono accessibili, ma non si può delegare. Occorre un’azione sociale
Amatrice

L’Italia, lo sappiamo, è territorio sismico. Ce lo testimoniano cronache di disastri che provengono da molto lontano, dal medioevo e anche prima. Ce lo conferma la impressionante sequenza di terremoti degli ultimi cento anni, che hanno attraversato l’Italia da sud a nord con regolare frequenza.

 

I terremoti sollecitano gli edifici in modo anomalo e violento perché’ generano spinte prevalentemente orizzontali, facendo oscillare le pareti fino al crollo. I danni sono più rilevanti quando si tratta di muri di pietra o mattoni perché le spinte sono proporzionali al peso dei materiali che compongono le strutture.

Non c’è alcun dubbio che le costruzioni debbano essere realizzate in modo da garantire l’incolumità degli abitanti e, per quanto possibile, ad evitare i danni.

Si tratta però di un obiettivo molto impegnativo perché’ in Italia ci sono più di trenta milioni di abitazioni, senza contare le industrie, le strutture ricettive, i palazzi pubblici, le chiese, i manufatti per la viabilità e gli impianti in genere.

Rimanendo nel campo delle abitazioni, circa un quarto non risulta occupato mentre in quelle abitate ci sono circa due stanze a disposizione per ogni abitante.

Questi dati statistici sono profondamente mutati dagli anni ’70: il patrimonio edilizio è cresciuto del 80% in quarant’anni, molto più del fabbisogno.

 

L’importanza della manutenzione

Oggi abbiamo quindi una sovrabbondanza di edifici e, di conseguenza, un impegno gravoso per la loro manutenzione in efficienza.

Come tutte le cose, anche gli edifici degradano nel tempo: gli intonaci si staccano dalle pareti, dal tetto si insinuano infiltrazioni d’acqua, muffe e tarli attaccano i legnami, il ferro del cemento armato si corrode. La perdita di qualità porta con se una perdita di resistenza che viene messa in luce dagli eventi straordinari, come nei terremoti. Fa impressione vedere, nelle immagini dei paesi colpiti, fabbricati rimasti in piedi, lesionati ma non crollati, a fianco di macerie degli edifici polverizzati dalle scosse.

In Emilia il terremoto del 2012 ha colpito duramente gli edifici rurali che erano in precario stato di manutenzione, perché’ utilizzati solo marginalmente per l’attività agricola in quanto non più funzionali. In certe strade si poteva osservare la sequenza dei poderi: alcuni con abitazioni intatte ed altri con crolli significativi.

Quasi tutti gli edifici italiani sono stati costruiti senza tener conto dei terremoti perché’ le norme antisismiche oggi vigenti sono entrate definitivamente in vigore quando ormai il boom edilizio si era spento, per effetto della crisi immobiliare.

Ciò non significa, ovviamente, che tutti questi edifici sono a rischio di crollo.

 

Occorre una mappatura della vulnerabilità dei fabbricati

Le normative vigenti danno precise istruzioni di come misurare la vulnerabilità dei singoli fabbricati. Si tratta di eseguire calcoli secondo le regole della scienza delle costruzioni che mettono in evidenza, per ciascun edificio quali sono le parti più fragili e che possono più facilmente collassare in caso di terremoto. Nelle zone colpite dal terremoto la ricostruzione si esegue con questi principi per cui i fabbricati lesionati vengono chiaramente classificati. Lo stesso accade quando si realizzano edifici nuovi.

In tutti gli altri casi invece questa informazione manca. Così non si conosce l’esatto livello di pericolo delle nostre città. Sappiamo con una certa precisione quale il rischio sismico di ogni zona ma non sappiamo come reagiranno gli edifici. Questa informazione è molto importante per avviare le politiche di prevenzione. Il risultato più interessante di queste analisi consiste nel fatto che in molti casi basta poco per raggiungere livelli di resistenza soddisfacenti.

Ho di recente eseguito degli studi sui portici di Bologna, nel quadro delle iniziative avviate per ottenere dall’Unesco il riconoscimento di “patrimonio per l’umanità". Studiando i vari tipi di portici – da quelli medievali di legno a quelli ad arco del rinascimento o del periodo barocco – si nota che essi presentano una generale, buona resistenza e che il loro punto debole è il soffitto. È quindi sufficiente rinforzare il pavimento del locale soprastante, oppure aggiungere tiranti di acciaio posti in diagonale per aumentare in modo significativo la sicurezza sismica complessiva.

La “mappatura” del grado di vulnerabilità degli edifici consente quindi di individuare le situazioni più critiche e indirizzare al meglio l’impiego delle risorse a disposizione per la prevenzione.

Senza questa mappatura si ricade nei soliti interventi a pioggia, con effetti a “macchia di leopardo” che non raggiungono l’obiettivo della sicurezza collettiva.

 

Il terremoto si contrasta con un’azione sociale

I danni prodotti dal terremoto riversano sull’intera comunità ed è la comunità nel suo complesso che ha le condizioni per contrastarli. L’azione del singolo non è sufficiente. Che senso avrebbe parlare di sicurezza se lungo una strada gli edifici sicuri fossero intervallati da case pericolanti? Come potrebbe rimanere percorribile quella strada, come offrirebbe riparo alla popolazione se fosse ingombrata anche da un solo edificio crollato? Come si potrebbe definire antisismico un edificio anche ben progettato se quello accanto minacciasse di rovesciarvici sopra?

I piani per la sicurezza sismica hanno senso se coinvolgono l’intera popolazione, se le normative inducono negli abitanti quello spirito di solidarietà e dedizione al bene comune che si manifesta puntualmente dopo ogni scossa, quando si attivano straordinarie energie e valori.

Le cronache di questi giorni ci hanno raccontato storie di domande di cittadini volenterosi che volevano ottenere contributi per mettere in sicurezza le loro case ma che non hanno trovato risposta, principalmente a causa di burocrazie e norme inadeguate. Non abbiamo invece avuto notizia di azioni concertate, di progetti portati avanti insieme, di quartieri che si siano mossi spinti da una determinazione comune.

 

Prima la salvaguardia della vita

Se un edificio terremotato non crolla, pur lesionandosi; se le sue scale rimangono percorribili, se le tubature non scoppiano, la vita degli abitanti è garantita.

Se il terremoto non facesse vittime, potremmo già dirci parzialmente soddisfatti.

Tutte le strutture, prima di rompersi definitivamente, si incrinano. Le fessure, gli strappi del materiale, liberano l’energia sismica assorbita e consentono al fabbricato di smettere di oscillare e di raggiungere un nuovo equilibrio stabile, seppure più precario.

Ci sono alcune tecniche di contrasto al terremoto che prevedono parti della struttura che sono ‘sacrificabili’, che sono cioè deputate a danneggiarsi per prime, così da assorbire l’energia sismica e salvare le rimanenti parti.

Progettare il consolidamento di un edificio con l’obiettivo che non si danneggi è cosa molto diversa di farlo con l’obiettivo che non crolli. I costi dei lavori del secondo caso sono sensibilmente inferiori al primo.

In situazioni di carenza di risorse, occorre garantire in modo esteso la sicurezza della popolazione prima di pensare a finanziare azioni che salvaguardino anche dai danni. Certo, ci sono delle strutture che devono rimanere perfettamente efficienti dopo un terremoto, come gli ospedali o le strutture capaci di accogliere molte persone: per queste ovviamente la sicurezza deve essere assoluta. Ma per la maggior parte dei fabbricati la cosa più importante è la salvaguardia della popolazione: non più morti per terremoti.

 

La prevenzione subito

Per individuare il livello di pericolo reale, non basta conoscere il grado di rischio sismico della zona in cui abitiamo, ma anche lo stato di tutti gli edifici. Questa mappatura è urgente e dovrebbe essere considerata una priorità assoluta. I mezzi e le competenze ci sono. Come sempre accade di fronte a compiti così estesi, puo’ nascere la preoccupazione che i tempi diventino eccessivamente lunghi e i costi proibitivi ma non è così. Pur essendo ogni edificio un caso unico, ci sono molti elementi di somiglianza che contribuiranno a sveltire gli studi. Procedendo con la classificazione, la casistica diventerà molto estesa e servirà come guida per rendere più efficienti gli studi successivi. Si otterrà anche una grande mole di dati che saranno utili per la formazione delle nuove generazioni di tecnici strutturisti e delle nuove imprese di costruzione. Si potrà anche attivare un elevato livello di scambio di informazioni e di buone pratiche da zona a zona, da città a città.

Dunque, come sempre, l’importante è cominciare.

 

Fernando Lugli, ingegnere, si occupa di pianificazione territoriale e storia della città, con particolare attenzione ai programmi di sviluppo locale e di promozione delle risorse umane.Collabora con il Centro Studi “Gina Fasoli” dell’Università di Bologna per l’analisi delle fonti storiche e cartografiche e nei progetti di ricostruzione delle strutture urbane.

 

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