Comunità, il legame che resta

Cosa regge una società dalle sue fondamenta? Dare spazio all‘agire libero e gratuito che crea relazioni  
Mariapoli Prati di Tivo 2023

Andrea lavorava come caposala in un grande ospedale romano. È rimasto al suo posto nel pieno dell’epidemia di Covid, un nemico invisibile che ha mietuto nel nostro Paese migliaia di morti e ha cambiato le regole della vita comune, eliminando la possibilità stessa dello stare assieme.

Tra il personale sociosanitario, costretto a turni massacranti, si son contate 500 vittime. Andrea non sa dire ancora come sia avvenuto il contagio che lo ha colpito. È stato ad un passo dal perdere la vita ma, alla fine, è tornato a casa completamente debilitato. Ora è in fase di lenta ripresa e ha scritto un libro intitolato Un’altra possibilità, ad indicare l’occasione per tutti di imparare da quanto avvenuto.

Una tragedia, quella del Covid, che può ripresentarsi in tanti modi, come spiegano molti esperti, in un mondo esposto agli effetti dei cambiamenti climatici. Lo stato d’eccezione della pandemia ha fatto emergere la forza del legame sociale, l’essere una comunità solidale come testimoniato dalle immagini, che hanno fatto il giro del mondo, di medici, infermieri e portantini crollati a terra dopo ore di intervento per la cura da assicurare a tutti, nessuno escluso, con il servizio sanitario pubblico costantemente sotto attacco negli ultimi anni.

“Un’altra possibilità” che ci è stata data è quella di una conversione ad U per invertire un cammino che porta ad eclissare il volto dell’altro dal nostro orizzonte, come affermato da papa Francesco nella preghiera del 27 marzo 2020 nella piazza San Pietro deserta: «Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

Parole che assumono una maggiore densità davanti alla guerra in Ucraina che devasta persone e coscienze con scelte di massiccio riarmo e scenari sempre più devastanti (mezzo milione di morti tra i soli militari è un dato che passa via veloce).

Il cambio di rotta non è avvenuto. A cominciare dal definanziamento del servizio sanitario pubblico: secondo la Fondazione Gimbe, il rapporto spesa sanitaria sul Pil nel 2025 sarà inferiore ai livelli pre-pandemia. Appare irreversibile il crollo demografico dovuto a una molteplicità di fattori, il problema delle periferie degradate non vede soluzioni strutturali in un Paese dove le mafie, come ha denunciato don Luigi Ciotti all’assemblea di Azione Cattolica, «sono più forti perché ormai viaggiano sul piano dell’alta finanza».

Il confronto con questi dati di realtà vengono di solito omessi perché possono spingere verso la rassegnazione e il disimpegno. Ne è un indice la progressiva astensione al voto che riguarda in particolare le fasce della popolazione più debole. Se ancora nelle circoscrizioni territoriali a maggior reddito l’affluenza alle urne raggiunge il 75% degli aventi diritto, tale percentuale crolla al 45% e anche meno nelle zone più povere. Nell’accettazione della sconfitta non si intravede la possibilità di un nuovo “sole dell’avvenire”, la possibilità, cioè, di raggiungere un mondo migliore o, almeno, la possibilità di una proposta credibile.

Ai segnali di un malessere radicato nelle fondamenta non si può rispondere se non andando in profondità. Lo fa intuire l’ultimo film di Ken Loach, The Old Oak, in uscita ad ottobre, che descrive lo smembramento sociale e il progressivo incattivimento, esaltato dai social, di una cittadina dell’Inghilterra del Nord che ritrova intorno al gestore dell’unico pub rimasto, nel suo agire solidale assieme ad un’amica, il senso di comunità capace di aprirsi al dolore di alcuni profughi siriani visti inizialmente con ostilità.

L’agire libero e gratuito a favore degli altri trasforma la realtà. Come afferma Maurizio Maggioni, presidente di VolontaRomagna, è «grazie ai volontari se sono aperti i doposcuola, i campi estivi o i musei, se esistono le bande musicali di paese o le associazioni sportive.

Parliamo di attività che sfuggono alla narrazione, a volte molto retorica, di un volontariato inteso come “buona volontà”, ma il cui valore è inestimabile, perché si inseriscono concretamente in un disegno di società più giusta e inclusiva, perseguibile e realizzabile ogni singolo giorno». Lo abbiamo visto con quanto avvenuto dopo le devastanti inondazioni che hanno colpito la Romagna. È in quel territorio, a Verucchio, che si svolge da anni la festa dei popoli, una manifestazione che, tramite il calcio e la cucina, promuove la conoscenza reciproca tra persone di nazionalità diversa all’insegna dell’“incontrarsi per riconoscersi”. Un’iniziativa che non si improvvisa ma che è il coronamento dell’impegno di ogni giorno, come riportato su Città Nuova.

Restano memorabili su questa rivista i racconti di Silvano Gianti, scomparso il 14 aprile 2020, corrispondente dalla Liguria, sulla resistenza umana di quei volontari che, superando critiche e ostacoli di ogni genere, si son fatti carico dei migranti trattenuti a Ventimiglia, sul confine con la Francia, il cui governo li respinge indietro con durezza.

Il concetto di “comunità” può essere usato anche per esprimere un senso di esclusione verso coloro che non sono “nostri”, secondo richiami identitari di vecchi e nuovi nazionalismi. Una tendenza in crescita che mina la stessa esistenza dell’Unione europea dove siamo, come italiani, parte fondativa della “Comunità” di nazioni uscite dalle tragedie di conflitti senza fine. Il cancelliere Helmut Kohl parlava della sua scelta di Europa radicata nella morte del fratello in guerra.

E, tuttavia, occorre riconoscere che questa tendenza a rinchiudersi in appartenenze recintate attinge al senso di paura e smarrimento di fronte a cambiamenti radicali determinati da poteri che sfuggono ad ogni controllo. Si pensi ai licenziamenti comunicati da esecutori di capitali finanziari inconoscibili.

Vanno visti, perciò, con molta attenzione i casi delle imprese rilevate agli stessi dipendenti (workers buy out) e la reazione di comunità di lavoratori, ad esempio quelli dell’ex Gkn di Firenze e dei facchini della catena logistica di Mondo Convenienza, che non si sono disgregati e divisi ma hanno chiesto e trovato la solidarietà e il coinvolgimento delle reti sociali attive e responsabili. È, infatti, paradossalmente l’ambito del lavoro, frazionato in una molteplicità di contratti e rapporti precari, dove è forte la tentazione illusoria di salvarsi da soli.

Una solitudine che colpisce, anche, quelle periferie costruite per concentrare il disagio sociale ma che si rivelano, andando oltre una certa rappresentazione televisiva, «un luogo molto vitale, ricco di iniziative, di protagonismo sociale, di potenzialità e risorse, di produzione culturale (in particolare nel campo della musica) che in genere dall’esterno non vengono minimamente percepite», secondo Carlo Cellamare, urbanista dell’Università La Sapienza che lavora da anni sul campo.

Ne è un esempio Pangea, una rete autogestita e autofinanziata sorta nel cuore di Scampia, a Napoli, per sostenere un progetto di formazione alla nonviolenza e di cura del verde che è riuscito a riqualificare un’area abbandonata del quartiere.

Il legame sociale esiste ed è fiorente, bisogna solo dargli spazio e farlo crescere.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

 

 

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons