Come eravamo?

Una domanda a cui cerca di rispondere una rassegna fotografica al Vittoriano di Roma
come eravamo

Già, come eravamo nei primi cinquant’anni del Novecento? Ce lo dice una preziosa rassegna a Roma, al Vittoriano, aperta fino al 23 ottobre (catalogo Giulio Perrone editore). Una piccola mostra, ma molto indicativa del mutamento sociale, economico e di costume della nostra Italia. Foto in bianco e nero, ovviamente. Prestate dalla famiglie e ritrovate nei vecchi album, magari finiti in soffitta o negli scantinati. O ripescate nelle case di campagna ereditate dai nonni…

 

Fa un certo effetto passare dal doppio matrimonio delle sorelle Pascucci, a Roma nel 1920, rigide con i mariti davanti allo sfondo posticcio, a quello degli sposi Papaleo-Bombardesi in Calabria nel ’59, ormai fotografati in casa e non più in “studio” , mentre l’uomo mangia da un vassoio colmo di pasticcini e la “sposa” guarda in macchina con espressione seriosa. Oppure osservare la famiglia Tomassi con la balia (Roma, 1901), dagli abiti lunghi, con i maschietti vestiti da femminucce, e la mamma Melzi in motorino con la bambina a Milano nel ’50, con l’abito ormai più arioso e più sciolto. C’è stata la guerra di mezzo, la moda “americana” che avanza, e il costume cambia.

 

Ci sono matrimoni, nascite, battesimi e prime comunioni, con le bambine vestite da spose e i ragazzini con la fascia al braccio e l’aria smarrita, seria. Consuetudini e cerimoniali trasmessi nelle generazioni, intoccabili, almeno fino agli anni Sessanta. C’è poi il tempo libero, da trascorrere con le gite al mare – in costumi molto sobri – e soprattutto in montagna, con tanto di ombrellini per le signore e cappelli-giacca-cravatte per gli uomini…Che mondo! Oggi non esiste quasi più, travolto dal “progresso”. Allora era un piccolo mondo provinciale, che trovava i suoi momenti di distensione dalla fatica e voleva farsi immortalare – si fa per dire – dalla macchina fotografica.

 

Osservando le foto della mostra, si vede il cammino dell’Italia nei primi cent’anni dell’Unità. Si vede ciò che si è raggiunto, maggior libertà espressiva e, ahimè, ciò che si è perso, cioè la sobrietà. Da recuperare, se possibile.

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