Come angeli

Storie ordinariamente straordinarie. “Siamo spiacenti di comunicarLe..."
Attraverso mille fragilità
“Siamo spiacenti di comunicarLe, ecc. ecc., a seguito dei risultati fortemente negativi, ecc. ecc., siamo giunti alla determinazione di privarci della Sua collaborazione per riduzione di personale…”.

Ci sono temporali che preparano il finimondo con movimenti vorticosi di nubi, improvvise folate di vento, tuoni in lontananza. Nella vita ci capitano eventi simili e, anche se siamo preparati, nel momento in cui inizia a grandinare restiamo ugualmente attoniti.

 

“Ora che sei libero dal lavoro potresti: andare, venire, fare questo, accompagnare quello”. Pare che il tempo libero che si ha a disposizione durante la disoccupazione sia buona cosa, se osservato da chi il lavoro ce l’ha. Anche per il protagonista, che mi ha raccontato questa storia, dopo alcune settimane trascorse tra impegni vari per amici e conoscenti, è giunto il momento di recarsi al “Centro per l’Occupazione”, ex Ufficio di Collocamento, per l’iscrizione.

Lasciamolo continuare nel racconto.

Prendo il numero: 70. Il pannello luminoso indica che a colloquio c’è il 33. Ci sono una quarantina di persone prima del mio turno!

 

Ripensando al temporale constato ancora una volta che “piove sempre sul bagnato”.

L’addetto al banco delle informazioni ha l’aria di chi non riesce a far passare il tempo. Con timore ripenso a quando lavoravo, l’avevo anch’io?

Noi in attesa non abbiamo atteggiamenti scontati: siamo attenti, gentili, solidali.

Il Centro è nuovo e la porta a vetri, che dalla sala d’attesa introduce agli uffici, è scorrevole, azionata automaticamente da un sensore posto sopra di essa.

Ogni più piccolo movimento delle persone in attesa la aziona. Si apre e si chiude in continuazione, tutto l’anno, nei tempi previsti dall’orario. “Cosa ci sta dicendo? Quale mistero sull’imperturbabilità ci sta spiegando?”. Mentre la osservo, affinché mi aiuti a risolvere il dilemma in cui sono assorto, noto una bambina con la mamma, numero 73.

Impossibile non accorgersene: è lei che muovendosi continuamente aziona la porta.

 

Pur con vecchi problemi di matematica mi accorgo, con poco margine d’errore, che non ci sono quaranta persone in attesa. Dove sono gli altri? Una signora, sicuramente preparata in molti campi, spiega: “Sono all’INPS, per l’iscrizione, arriveranno!”.

Gli occhi dei presenti iniziano a dondolare tra il pannello dei numeri, la porta scorrevole e le scale che accedono alla sala d’attesa. Il tempo passa, ma pochissimi arrivano. L’INPS sta facendo il nostro gioco.

Il pannello è meraviglioso, a raffica: 46, 47, 48, 49, 50, 51: entra il 51. E via così.

 

Rimaniamo in pochi, io sono il penultimo e la signora numero 73 l’ultima. La sua bambina si siede accanto a me: “Mi chiamo Ludovica, e tu?”. Iniziamo il contatto. Continua: “Ho fatto la quarta elementare, ho un’amica che si chiama Elena. Ci piace giocare insieme, ci divertiamo e ridiamo…”. Stiamo appena diventando amici che il pannello sentenzia: 70!

Ci salutiamo, vado.

Al termine del colloquio l’impiegata mi fa presente che devo andare anche all’INPS. Essendo le tredici passate andrò domani.

Al mattino del giorno seguente ci vado. Entro, prendo il numero e mi siedo. Supponendo lunghi tempi d’attesa ho con me un libro di Luis Sepúlveda, un simpatico romanzo sull’Amazzonia che mi salverà da questa foresta tropicale (siamo a luglio).

Leggo soddisfatto e, mentre sto imparando vari metodi di sopravvivenza, curiosando sopra gli occhiali vedo entrare Ludovica, sua mamma e un’altra bambina.

Si siedono nel lato opposto dell’ampio salone. Le bambine non stanno ferme, entrano ed escono, giocano. Ad un certo punto Ludovica si consulta con la mamma e lei, capisco, approva la proposta. La bambina mi raggiunge di corsa con l’amica: “Ciao! Lei è la mia amica Elena, ha fatto la quarta con me. Ieri ho pensato tutto il giorno a te. Oggi speravo di vederti qui, anzi, ero sicura che ci saremmo incontrati”.

 

Scambiamo qualche parola, formuliamo indovinelli. Anche Elena entra in questa atmosfera di gioia e amicizia.

All’improvviso mi accorgo che nel salone è presente Giulio, un conoscente che lavora in un Patronato. Ci salutiamo e contento di aiutarmi mi chiede i documenti, assicurandomi che penserà lui a tutto.

Incredulo per aver già concluso il mio domicilio presso l’INPS mi avvio all’uscita, ma non vedo le mie giovani amiche. Sono quasi al cancello che mi raggiungono di corsa.

 

Ci salutiamo ed immagino che ben difficilmente le rivedrò. Sono arrivate in mezzo alla bufera, come un arcobaleno, che si vede meglio quando ancora piove. Come angeli.

Finito il racconto, dopo aver ringraziato e salutato il mio amico, mi è tornata spontanea alla memoria una massima buddhista: “Quando patiamo una grave delusione, non sappiamo mai se si tratta della conclusione della vicenda che stiamo vivendo: potrebbe essere anche l’inizio di una grande avventura”.

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