Colpiamo chi finanzia il terrorismo

La retorica della guerra, dopo gli orrendi attentati in Francia, rischia di oscurare la necessaria operazione di polizia internazionale sulla filiera opaca che finanzia l’Isis
Esercito a Roma

Dopo le stragi di Parigi, la paura del terrorismo si avverte anche a Roma. L’ultima fermata della Metro B, che arriva vicino al carcere di Rebibbia, è presidiata da una camionetta dell’esercito con due imberbi soldati che stazionano in tuta mimetica, e con il mitra in mano, in mezzo ad un piazzale dove immigrati extracomunitari vendono poche cose senza valore.  L’immagine rassicurante della sicurezza è vanificato se solo si pensa ai percorsi senza luce e ai cordoli di cemento di eterni lavori in corso che restringono il passaggio dell’antica strada Tiburtina tracciata nel terzo secolo avanti Cristo.

A due passi dalla fermata della Metro si trovano, oltre all’istituto di pena dove si sta celebrando il processo a Mafia Capitale, le sedi di società dell’eccellenza italiana in campo dell’aerospazio e difesa, Finmeccanica e Vitrociset, accanto a brandelli di campagna romana e immensi stabilimenti di archeologia industriale che sembrano residui di un bombardamento. Il miracolo di una delle prime nazioni industrializzate al mondo si spiega anche da questo colpo d’occhio ma resta la domanda sulla sicurezza che pochi si sentono di poter assicurare davanti ad una minaccia imprevedibile. A cominciare dall’autorità massima del prefetto, si presenta l’imminente Giubileo come motivo di pericolo, al contrario dell’Expo milanese incentivata alla più grande partecipazione popolare esaltando perfino le file chilometriche di entrata. Come dice il ministro dell’interno Alfano siamo ad un livello di allarme vicino a quello dell’attacco conclamato.

Secondo il generale Carlo Jean, esperto di strategia e intelligence militare, il vero ostacolo al potere del terrorismo islamista in Italia è rappresentato dal controllo del territorio esercitato dalle mafie. Senza esser complottisti bisogna ricordare, tuttavia, che su una parte della nostra storia recente grava l’ombra di accordi indicibili tra terroristi, mafie e servizi segreti dove non si comprende chi sia stato più bravo a manovrare gli eventi.

Bisogna perciò vigilare al massimo perché ogni volta il nostro Paese si trova davanti a delle scelte laceranti della massima importanza come la partecipazione diretta ad un conflitto già deciso dalla Francia che da tempo bombarda non solo la Siria ed ora mette sul campo di battaglia la portaerei De Gaulle ricevendo l’appoggio della Russia di Putin che tuttavia persegue una politica di sostegno alle truppe del presidente siriano Assad, in totale contrasto con la visone francese della guerra.

Finora Renzi ha puntato i piedi e ha detto apertamente di non voler essere trascinato nell’esito tragico di una Libia bis, alludendo al conflitto del 2011 voluto dall’ora presidente francese Sarkozy. Ma la grande stampa enfatizza la necessità di combattere la barbarie del sedicente Stato islamico in ogni modo evocando la parola “guerra” anche se Stefano Silvestri, direttore della rivista dell’Istituto affari internazionali, invita autorevolmente ad usare il termine corretto che in questo caso è “operazione di polizia internazionale per mettere fine al controllo su estesi territori da parte di bande di briganti”.   Il primo atto di polizia internazionale consiste nel porre fine al finanziamento dell’Isis (o meglio dire Daesh) che lo stesso Putin ha denunciato apertamente nell’ultimo vertice dei Paesi del G20 indicando la responsabilità di alcuni dei governi che sedevano allo stesso tavolo del vertice di Antalya in Turchia, alludendo all’ambiguità di Arabia Saudita,Qatar, Emirati Arabi uniti e la medesima Turchia. Tutti storici alleati degli Stati Uniti e preziosi clienti delle nostre aziende di armi.

Il precipitare delle condizioni che potrebbero indurre all’opzione di guerra sarebbe una soluzione ottimale per tutti coloro che considerano come vero pericolo l’azione di una radicale operazione di polizia internazionale che deve cominciare dal prosciugare il fiume di denaro e armi che alimenta il sedicente Califfato. Come ha detto il presidente di Banca etica, Ugo Biggeri, «C'è uno strabismo economico finanziario che ci fa condannare l'Isis, ma non ci fa vedere come esso sia ben inserito negli scambi economici cui anche noi partecipiamo. Questo strabismo non è un accidente casuale, una dabbenaggine dell'occidente, o un'astuzia dell'Isis stesso. È conseguenza del modo con cui facciamo funzionare la finanza e l'economia. Se la finanza fosse meno opaca nelle sue filiere globali sicuramente sarebbe possibile boicottare il finanziamento dell'Isis».

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