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Ambiente > Emergenza ambientale

Clima: rabbia dei giovani e modello sociale da cambiare

di Pasquale Pellegrini

- Fonte: Città Nuova

Pasquale Pellegrini

Ogni Paese tenta di scaricare sugli altri le misure più gravose necessarie per contenere il cambiamento climatico. Ma nessun Paese può farcela da solo. L’alleanza con l’Africa e il G20 in Italia.

Protesta dei giovani in Argentina (AP Photo/Victor R. Caivano)

Forse la pressione dei giovani potrà giocare un ruolo fondamentale sulle decisioni che la COP 26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Glasgow dall’1 al 12 novembre prossimo, dovrà prendere. Youth4Climate: Driving Ambition, l’appuntamento che, in questi giorni ha riunito, a Milano, oltre 400 giovani, dai 18 ai 29 anni, di 195 Paesi del mondo, ne ha tutta l’aria.

Aprendo di fatto la Pre-Cop 26, prevista da oggi 30 settembre al 2 ottobre per preparare la conferenza di Glasgow, Youth4Climate porta nel dibattito sul clima, per la prima volta, le ansie di coloro che maggiormente potrebbero subire gli effetti dei cambiamenti. I giovani intendono essere protagonisti del loro futuro accanto e insieme ai decisori politici, consapevoli che solo uno sforzo collettivo può portare a dei risultati.

«Le nostre vite – hanno scritto 8 mila under trenta di 23 paesi del mondo in Global Youth Letter, una lettera ai politici – sono influenzate dal cambiamento climatico e, come gruppo, siamo pronti ad agire, ma chiediamo anche più azione dai nostri leader. Chiediamo un migliore flusso di informazioni sul cambiamento climatico, in modo da poter lottare attivamente contro le sfide ambientali e fare scelte di vita più rispettose dell’ambiente, sia individualmente, sia collettivamente». Youth4Climate affiderà ai negoziatori della Pre-Cop26 e a Glasgow una dichiarazione finale.

Protesta dei giovani a Washington (AP Photo/Jose Luis Magana)

Protesta dei giovani a Washington (AP Photo/Jose Luis Magana)

Tanto attivismo tradisce, tuttavia, la difficoltà di pervenire a soluzioni concrete e condivise. Benché sia chiara a tutti l’urgenza di intervenire sollecitamente, ribadita anche dall’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) pubblicato ad agosto scorso, ogni Paese tenta di scaricare su altri le misure più gravose, alimentando insidiose polemiche. Alle sollecitudini dell’Occidente, la Cina, oggi il più grande responsabile di emissioni di gas serra, replica con una guerra di numeri sulle emissioni pro-capite. L’Africa, con le sue sacche enormi di sottosviluppo, la mancanza di risorse finanziarie e tecnologie verdi e il grosso problema dei vaccini anti-Covid tutto da affrontare, sente di poter essere penalizzata dalle scelte dei Paesi industrializzati.

«Il punto critico – dicono Tom Burke e Nick Mabey del londinese E3G, un think tank sul cambiamento climatico che opera per accelerare una transizione globale verso un futuro a basse emissioni di carbonio, intervistati da Luigi Ippolito per Pianeta 2021 – è costruire un’alleanza con Africa e Paesi vulnerabili. L’Europa sta mostrando una mancanza di leadership su questo punto, mentre gli americani sono focalizzati su Brasile, India, Indonesia e Sudafrica. Il resto dell’Africa è stato trascurato, ma politicamente ne abbiamo bisogno come alleati verso la conferenza sui cambiamenti climatici in Scozia».

La questione è piuttosto complessa e quadrare il cerchio non è poi così semplice. Ne è convinto anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres: «È in gioco il nostro futuro, corriamo il rischio di non avere successo alla COP26». Nessun Paese può farcela da solo, l’approccio multilaterale è una strada obbligata. Prima di Glasgow ci sono appuntamenti importanti nei quali provare a dipanare la matassa. All’inizio di ottobre, a Roma, si terrà un incontro di alto livello sulle sfide climatiche e ambientali in Africa e a fine mese l’Italia ospiterà il G20: entrambe ghiotte occasioni per studiare soluzioni condivise.

Protesta dei giovani a San Paolo (Brasile) - (AP Photo/Andre Penner)

Protesta dei giovani a San Paolo (Brasile) – (AP Photo/Andre Penner)

Uno dei punti più spinosi che sarà affrontato nella COP26 è il mercato delle emissioni di gas serra. L’attuale meccanismo consente alle aziende di comprare i diritti dai paesi virtuosi o più poveri, lasciando inalterato il proprio modello di sviluppo a scapito di altri. «La strategia di compravendita di crediti di emissione – ha evidenziato papa Francesco nella Laudato si’ – può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti».

Il tema che nessuno vuol affrontare è il modello sociale. «Abbiamo troppi telefonini, troppo streaming, solo questo fa il 4 per cento di emissioni di CO2. Siamo disposti a rinunciarci?», sostiene il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani in un’intervista a l’Espresso. «Abbiamo tutti due auto. Siamo pronti a rinunciare a una? Bisognerà impostare un dibattito che per la sua natura complessa non può avere risultati immediati». La verità è tutta qui: i giovani ne sono consapevoli, i politici e gli attori economici un po’ meno. Ognuno, però, è chiamato a fare la sua parte.

 

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