Cile, Michelle Bachelet stravince di nuovo

Il 62 per cento dei voti è un risultato più che soddisfacente, anche in un ballotaggio. Ma la nuova presidente non potrà non tener conto che il 59 per cento dei votanti, 7,5 milioni su un totale di 13 milioni di aventi diritto, ha preferito starsene a casa. Parola chiave per la sua gestione: disuguaglianze
Michelle Bachelet

Il prossimo 11 marzo Michelle Bachelet sarà nuovamente la presidente del Cile. Tutto secondo copione si potrebbe dire, dato che la sua vittoria era attesa dalla gran parte degli analisti politici. Eravamo alla fine di aprile del 2012 e durante un seminario riservato a poche persone, al quale potei partecipare, l’analista politico invitato non ebbe dubi: «Se Bachelet si ricandita sarà presidente per la seconda volta». E cos è stato. Durante le primarie, all’interno dell’alleanza elettorale caratterizzata dall'apertura del centrosinistra ai comunisti (Nueva Mayoría), questa pediatra di 62 anni ha letteralmente surclassato i suoi avversari. Al primo turno, il 17 novembre, ha sfiorato il 50 per cento, con circa 25 punti di differenza sulla sfidante più quotata, la candidata della destra oggi al governo, Evelyn Matthei. Domenica scorsa, il risultato è stato ancora superiore, Bachelet ha raggiunto infatti il 62 per cento dei voti, mentre Matthei si èfermata appena al di sotto del 38 per cento.

Festa grande dunque nella Nueva Mayoría. Ma non troppo. Da queste elezioni emerge un dato che tutti i partiti farebbero bene a prendere in considerazione: se al primo turno l’astensionismo ha raggiunto un preoccupante 51 per cento, al ballottaggio addirittura il 59 per cento degli elettori ha preferito restarsene a casa. Su questo dato potrà aver influito senz’altro il risultato scontato di questa campagna elettorale, durante la quale la destra ha prima subito il colpo del ritorno di Bachelet sulla scena politica nazionale (negli ultimi tre anni ha lavorato a New York, all'Onu), poi ha perso il candidato vincitore delle primarie, che si è ritirato per motivi di salute, presentando alla fine una candidata di rimpiazzo, con scarso appoggio interno da parte della coalizione di destra formata da Udi e Rn (Alianza). Ma nonostante tutto questo, non si riesce ancora a spiegare tanto assenteismo. O meglio: tanta distanza tra cittadinanza e politica.

«Perché perdere tempo? – mi ha detto una docente alla vigilia delle elezioni –. In 24 anni, sia il centrosinistra che la destra non hanno risposto ai nostri problemi come lavoratori. Votare uno o l’altro, che differenza fa?». Una risposta forse eccessivamente severa, ma che non si discosta poi tanto dalla realtà.

Il Cile è uno dei Paesi dell'America latina che è maggiormente cresciuto economicamente. Ma tale crescita accentua e non diminuisce sostanzialmente le disuguaglianze tra le diverse fasce della popolazione. Oggi, per esempio, un direttore generale guadagna in media cento volte di più del lavoratore meno pagato della sua azienda. Quell'un per cento più ricco della popolazione si appropria del 31 per cento del reddito complessivo del Paese. Sono valori superiori perfino agli Stati Uniti. Il 5 per cento della popolazione guadagna 257 volte di più del 5 per cento della fascia più povera.

E come spesso accade, i più poveri sono anche i più deboli, obbligati a lavorare 45 ore settimanali in un Paese in cui non esistono le contrattazioni sindacali collettive. Alcune conquiste, come la 13a mensilità, sono un sogno. «Devo sposarmi tra una settimana – mi confessa un’altra docente – e sto recuperando le ore in cui mancherò perché per noi non sono concessi giorni di vacanza per la luna di miele».

 

Nell’agenda di governo di Michelle Bachelet figurano alcuni punti chiave per ridurre le disiguaglianze. Cominciando dalla riforma della Costituzione, ereditá della dittatura di Augusto Pinchet, alla quale é ancorata la visione di uno Stato minimo che lascia agli equilibri (o squilibri del mercato) risolvere la questione dell’inclusione sociale. Seguono la riforma del sistema tributario che permetta ridistruibuire in modo piú equo il prelievo fiscale (che pesa in un 20 per cento appena sulle imprese) e la riforma del sistema educativo, la vera “fabbrica della disiguaglanza”, con l’idea di sradicare il lucro da questa attivitá e progressivamente garantirne la gratuitá.

 

Saranno queste le cartine al tornasole con le quali si valuterá la prossima gestione della figura politica indubbiamente piú popolare e piú stimata del Cile.

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