Chi vuole deporre Assad?

Intervista esclusiva al patriarca melchita della Siria, Gregorios III. «Attraverso le frontiere siriane stanno penetrando nel Paese quantità incredibili di armi. Va trovata una soluzione condivisa»
Gregorios III patriarca melchita greco-cattolico
Sua Beatitudine Gregorios III è il patriarca melchita, greco-cattolico, delle città di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme, di Cilicia, Siria, Iberia, Arabia Mesopotamia, Pentapolis, Etiopia, di tutto l’Egitto. Lo incontriamo al Cairo, dove trascorre un mese all’anno. Il suo parlare è franco, senza mezzi termini, da politico navigato si direbbe. Con lui cerchiamo di capire come stiano veramente le cose in Siria, suo Paese di origine e di residenza principale.

Sua Beatitudine, dal suo punto di vista, qual è l’attuale situazione delle rivoluzioni arabe?
«La situazione è cangiante. Le rivoluzioni arabe sono state come uno tsunami, che ha colpito anche il nostro Paese. Sì, da noi c’è un problema di libertà, come d’altronde in tutto il mondo arabo, anche perché non si può parlare di democrazia quando si parla di mondo arabo, nel quale un potere laico viene concepito solo a fatica e con forzature. La religione nei nostri Paesi gioca un ruolo molto importante anche nella gestione del potere: non è immaginabile un musulmano che non voglia la shari’a. Ma la legge islamica può, se lo si vuole, essere compatibile con la libertà, con i diritti delle donne, con le leggi d’eredità».

Condivide quello che dice la stampa internazionale a proposito della situazione conflittuale che esiste in Siria?
«La situazione è molto complessa. Lo sviluppo economico non è dei peggiori, non c’è analfabetismo, ogni cittadino gode dell’assistenza sanitaria gratuita, gli ospedali hanno un buon standard, le scuole sono gratis, le infrastrutture sono buone, c’è libertà religiosa. Addirittura non è nemmeno proibito convertirsi al cristianesimo, e possiamo avere delle scuole cristiane. Si direbbe che non ci fosse bisogno di una rivoluzione come in altri Paesi. E tuttavia c’è un partito unico, il che non è un bene: la carta costituzionale, che in questi mesi viene scritta di nuovo, anche col contributo dei cristiani, dovrebbe aprire al multipartitismo. C’è poi un altro grave problema: il rapporto tra sunniti e alawiti è pessimo, anche perché questi ultimi hanno il potere pur essendo meno del 10 per cento della popolazione. Ecco, per queste due ragioni si può cercare di capire, almeno in parte, il perché dell’attuale situazione».

Ripeto, condivide l’opinione anti-Assad della stampa internazionale e delle cancellerie di tanti Paesi?
«No. Mi sembra che vi sia una volontà internazionale di cambiare il regime di Assad. Si potrebbero fare le elezioni, invece di costringerlo a partire… Non voglio usare la parola “complotto”, ma non siamo lontani dalla verità. Non è concepibile che tutte le colpe dell’attuale stato ricadano sul governo al potere. Nella regione girano talmente tante armi che gruppi sconsiderati possono tranquillamente fornirsene e scatenare scontri e provocare vittime».

E i cristiani?
«Siamo cittadini fedeli, sempre impegnati in campo educativo, sanitario, culturale, e anche nel business. Non siamo un partito, questo no, e ci sono cristiani anche all’opposizione. Non siamo tentati dall’emigrazione, come in altri Paesi del Medio Oriente. Ma è chiaro che se l’instabilità perdurasse anche i cristiani sarebbero tentati dall’espatrio».

Avete paura che, caduto eventualmente Assad, la situazione della vostra minoranza peggiori?
«Abbiamo 1442 anni di convivenza con i musulmani. Non temiamo nulla. Troveremo il modo di convivere ancora con l’Islam».

Come uscire dall’attuale stato di conflitto?
«Attraverso le frontiere siriane stanno penetrando nel Paese quantità incredibili di armi. Il problema è regionale, non è solo siriano, e perciò va trovata una soluzione condivisa. L’Unione europea potrebbe contribuire positivamente alla soluzione, ma è al rimorchio degli Stati Uniti. Vorrei proprio che l’Europa avesse una sua autonomia nei rapporti con il Medio Oriente, nel quale ha una presenza ben più solida e duratura di quella statunitense. Se poi si risolvesse il problema israelo-palestinese, il 50 per cento dei problemi siriani sarebbe risolto. L’islamismo radicale cresce proprio perché non si risolve il conflitto dei nostri vicini. Da parte nostra, cioè dei cristiani, ovunque abbiamo intensificato le preghiere. Serve un intervento dall’Alto».

 

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