Chi sta guidando il Paese?

Classe dirigente senza strategia. Società civile dinamica e chiamata a nuove responsabilità. Intervista a Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia dell’università Cattolica di Milano
Parlamento italiano

Società civile, crisi della seconda Repubblica, i compiti di guida del Paese, chiediamo a Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia dell’università Cattolica di Milano un’analisi della situazione italiana.

 

Prof. Magatti, vede qualcuno nella cabina di regia dell’Italia?

Se con questa domanda si intende chi fa andare avanti l’Italia, dico che l’Italia è portata avanti da tutta quella parte del Paese che nonostante tutto si alza la mattina, va a lavorare, è capace di trovare nuove soluzioni ai problemi, impegnandosi nell’innovazione e nella ricerca. E questa è sicuramente la gran parte del Paese. Quindi c’è un’Italia reale, effettiva, capace, coraggiosa che in un certo senso dietro il baraccone mediatico-politico guida l’Italia nei fatti.

 

E la classe dirigente dov’è?

Le élite che hanno in mano il Paese, quelle politiche ed economiche, sono ai vertici dell’Italia ma offrono una guida molto confusa. E facciamo attenzione a pensare che questa situazione sia legata solo a scandali e comportamenti immorali, perché dipende più in generale dal fatto che il Paese non ha una direzione di sviluppo, non ha una speranza a cui guardare, non ha obbiettivi condivisi da perseguire.

 

Quasi due Paesi con rotte divaricanti?

La necessità che abbiamo è quella di rimettere insieme le due componenti: quella parte del Paese che si impegna, che lavora, che è capace di innovazione e di creatività ha bisogno assolutamente di diventare interlocutore di classi dirigenti capaci poi di risolvere i problemi, di utilizzare le risorse per il bene comune. Senza questo collegamento non ci si può consolare dicendo che c’è una parte del Paese che lavora. È necessario che questa parte un po’ per volta sappia manifestare domande precise e possa esprimere anche nuove classi dirigenti.

 

È una soluzione di medio periodo. Ma adesso cosa è possibile fare?

Non credo sia necessariamente una soluzione di medio periodo. Quella che è stata chiamata Seconda Repubblica mi sembra che stia mostrando in maniera sempre più evidente il suo esaurimento. E c’è una ragione di fondo: che la Seconda Repubblica è nata in larga parte in reazione alla crisi degli anni Ottanta e alla distruzione del partito dei cattolici.

 

Ovvero che non c’era una proposta politica fondata?

Nonostante i tentativi, le due proposte che emerse allora erano e sono rimaste a-cattoliche, nel senso che hanno sempre mostrato un atteggiamento strumentale nei confronti del mondo cattolico, il più importante che c’è in Italia. E in questo modo si sono allontanate dal Paese reale. Allora in questo senso la Seconda Repubblica è in difficoltà, perché, come è successo in altri momenti della storia italiana, la lontananza dalle radici del Paese, dall’humus culturale e morale del Paese, ha finito per creare delle élite che sono autoreferenziali, si chiudono nel palazzo, parlano di cose loro piuttosto che di quanto riguarda le persone, le comunità, le imprese.

 

Sta quindi alla società civile assumere in fretta un ruolo più incisivo?

Sì, sta alla società civile in tempi rapidi esprimere gli uomini migliori per guidare il Paese, dentro il mondo dell’università, delle imprese, delle professioni, del Terzo settore, dell’educazione. Dentro questi mondi ci sono infatti persone capaci di costruire e non semplicemente di parlare, di criticare. Il rilancio del sistema politico e amministrativo passa, secondo me, dalla ricerca di forme nuove per raccogliere queste forze e per portare a maturazione le loro istanze quale proposta per il Paese.

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