Chi è responsabile della crisi Electrolux?

Parla uno dei dipendenti dello stabilimento di Susegana, rientrato dallo sciopero. «La situazione è nebulosa e si parla di riduzioni del 50 per cento del salario. L'azienda ha concesso troppi privilegi ed eccessive tutele ai rappresentanti dei lavoratori, mentre gli utili erano in calo»
Electrolux

Quasi inaspettatamente, mi risponde al numero di telefono del lavoro: Carlo – lo chiameremo così, «meglio non far sapere troppo in giro il proprio nome in questi giorni» -, dipendente dello stabilimento Electrolux di Susegana, oggi è in azienda. «C’è stato uno sciopero mercoledì scorso – riferisce –: un picchetto di operai ha impedito a tutti di entrare, erano anni che non succedeva. Questa mattina ci sarà un’assemblea per spiegare che cosa sta accadendo, lunedì un incontro con i delegati a Mestre e mercoledì uno a Roma, ma l’incertezza rimane». Anche per Susegana dove, a differenza di Porcia, almeno per ora non si parla di chiusura: «La sensazione è sempre quella che un domani possa toccare anche a noi – ammette Carlo –, per quanto ultimamente qualche commessa in più sia arrivata: credo che fino a fine febbraio con i contratti di solidarietà continueremo a lavorare otto ore, ma poi torneremo a sei». Anche in quanto ai salari, la situazione è ancora nebulosa: «I sindacati hanno parlato di una riduzione del 50 per cento, ma per quel che ne so alla fine saranno 130-140 euro in meno. Che certo non fa piacere, soprattutto a chi ha famiglia».

Nei due stabilimenti del colosso svedese, leader nella produzione degli elettrodomestici, continua l'agitazione dopo l'annuncio della possibile chiusura del polo friulano per eccessivo costo del lavoro. L'amministratore delegato ha presentanto il piano di risanamento e di riduzione dei costi ad un tavolo congiunto con il Governo e  le quattro regioni interessate senza riuscire però a convincere gli interlocutori. Da qui le agitazioni degli operai, preoccupati del futuro ma soprattutto del presente.

A salvare per ora lo stabilimento di Susegana, a detta di Carlo, è il fatto che «a differenza di Porcia, dove si fa soprattutto assemblaggio, qui ci sono impianti e tecnologie più complesse, che non si possono trasferire da un giorno all’altro». Anche in questo caso, però, potrebbe essere solo questione di tempo: «Già si sta spostando in Ungheria il cosiddetto “step 3”, una gamma da rimodernare che offre un mergine di guadagno così basso che produrla qui significa andare in perdita. O si inizia a lavorare a qualcosa di nuovo, oppure non ci sarà più convenienza a rimanere. Senza contare che è inutile intervenire sulla parte della busta paga che arriva all’operaio, finché avremo un cuneo fiscale così pesante».

Nonostante le lotte sindacali e i contatti con gli interlocutori politici, però, pare non esserci un soggetto – che sia lo Stato, l’azienda o il sindacato – in cui i dipendenti ripongono davvero la loro fiducia: «La partecipazione era considerata il fiore all’occhiello della Electrolux – lamenta Carlo –, ma ora pare che i sindacati abbiano fatto solo danni. Colpa anche dell’azienda che ha concesso privilegi che da altre parti sarebbero stati inconcepibili, permessi sindacali in più e tutele eccessive. Per cui credo che sia l’una che l’altra parte debbano fare un mea culpa». In quanto all’azienda, inutile addossarle tutte le colpe: «È un’impresa privata, e naturalmente, che ci piaccia o no, cerca il massimo dell’utile. E qui gli utili sono in calo da anni, per quanto qui a Susegana il budget della produzione di pezzi sia rimasto praticamente costante anche per il 2014».

Se il mondo intero ha infatti scoperto in questi ultimi giorni cos’è la Electrolux e dov’è lo sconosciutissimo paese di Porcia, gli operai si confrontano già da molto tempo con buste paga sempre più magre, licenziamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà: «Tutto è iniziato sette anni fa con lo stabilimento di Scandicci – racconta Carlo –, che ha chiuso dopo dieci anni di agonia; e qui a Susegana il ridimensionamento è iniziato cinque anni fa, fino a rimanere con la metà dei dipendenti». Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, «e dubito che per i prossimi due o tre anni cambierà qualcosa».

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