Chi deve pagare la polizia negli stadi?

Il tweet di Matteo Renzi sugli straordinari delle forze dell’ordine da far pagare ai club sportivi ha generato un dibattito tra gli addetti ai lavori. Riportiamo le considerazioni di Maurizio Beretta, presidente della Lega di serie A, e di Carlo Tavecchio, presidente della Figc
Polizia negli stadi

«Gli straordinari delle forze dell'ordine impegnate negli stadi devono essere pagati dalle società di calcio, non dai cittadini», firmato Matteo Renzi, presidente del Consiglio italiano, via Twitter. Una proposta non del tutto nuova, ma di fatto mai presa in considerazione dagli addetti ai lavori, che ha riscosso una marea di apprezzamenti nell’opinione pubblica (sbirciare tra i social network per credere…) e sollevato qualche polemica tra gli interessati.

Il governo, con l'intervento del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ha posto la fiducia sul decreto legge contro la violenza negli stadi attraverso il testo che ha avuto il via libera della Commissione affari costituzionali della Camera. L'emendamento prevede che «una quota tra l'1 e il 3 per cento degli introiti complessivi derivanti dalla vendita dei biglietti» sia destinata a finanziare gli straordinari delle forze dell'ordine. Stoppata invece, per mancanza della relazione tecnica, la norma che prevede di utilizzare una quota dei ricavi complessivi dei club di serie A e B per la sicurezza.

Una proposta «spiacevole e preoccupante, giunta senza un minimo di confronto che invece è indispensabile», risponde Maurizio Beretta, presidente della Lega di serie A, commentando l'emendamento. «Rispettiamo il legislatore e il lavoro della polizia – premette Beretta –, ma il provvedimento così com'è ci preoccupa molto, anche per il precedente che rischia di costituire. Le società di calcio sono contribuenti significativi come tutti gli altri e penso che non sia facile stabilire cosa è ordinario e cosa straordinario, perché dipende dai modelli organizzativi. In più rischiano di pagare a piè di lista delle organizzazioni fatte con assoluta professionalità, ma diverse da noi. E poi, questo provvedimento è dedicato al calcio o agli eventi sportivi, come è scritto nel testo?».

Qualche giorno fa anche il presidente della Federazione italiana giuoco calcio, Carlo Tavecchio, sentito dalla Commissione, aveva bocciato l'idea: «La parte fiscale che il mondo professionistico sostiene non può portare a dare un contributo su un costo di sicurezza che viene già garantito dall'imposizione fiscale». Occorre precisare che il costo degli straordinari si aggira sui 25 milioni di euro all'anno. «Una cifra per noi estremamente importante che certo non può essere imputata al calcio o allo sport in genere. Altrimenti – gli fa eco Beretta – si rischia di penalizzare la competitività dei club italiani all'estero. Ricordo che tutta la sicurezza all'interno degli stadi, che sono pubblici, è pagata dalle società direttamente con gli steward. Se andiamo a guardare i numeri sarà più facile capire di che grandezze parliamo. Un confronto è indispensabile».

Secondo gli studi pubblicati dalla stessa FIGC, “l’azienda calcio” garantisce in tasse più di un miliardo di euro allo Stato italiano, provenienti da 71 mila società attive, di cui 107 professionistiche e una decina appartenenti al dorato mondo delle “big” di serie A, da cui proviene un gettito fiscale da centinaia di milioni di euro. Su circa 58 milioni di abitanti, la metà sono interessati a seguire le vicende pallonare e il giro d'affari stimato, incluso l'indotto, pesa per quasi il 6 per cento del Pil dell'Italia.

Secondo la XXII edizione dell’annuale ricerca Deloitte Annual Review of Football Finance 2013, il fatturato del calcio italiano giunge a 1,57 miliardi di euro. Numeri enormi, che impongono una riflessione ad ampio raggio delle istituzioni sull’impatto economico, culturale ed educativo di questo sport. Ben vengano proposte in merito, ma non si perda di vista l’intera questione della sicurezza, dell’ottimizzazione e della gestione di impianti ormai vecchi e costosi, come la stragrande maggioranza degli stadi: il modello inglese e quello tedesco danno ottimi spunti, ma il nostro Paese ha tutte le conoscenze, l’esperienza e la passione per affrontare una sfida che va oltre il semplice aspetto sportivo e su cui il governo si misurerà a partire dall’imminente decreto in discussione.

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