Cherso rude e selvaggia

Isola di Cres

«L’isola di Cherso si stagliava nella notte in tutta la sua rude e selvaggia bellezza, e il mio cuore non desiderava che trovar riposo nella piccola casa che la guerra aveva risparmiato…». In questi termini Meyra, la mia amica 92enne carica di acciacchi ma sempre viva nello spirito, rievoca il suo ritorno in pieno conflitto mondiale dopo dieci anni di studi superiori a Roma, all’isola, al paese e alla gente della sua infanzia: un “piccolo mondo antico” divenuto a lei ancora più caro dopo l’abbandono definitivo, esule come  tanti altri da quell’Istria un tempo italiana.

Cherso è una delle isole dell’arcipelago del Quarnaro, a pochi chilometri dalla costa istriana, da cui è separata dal canale della Farasina. Insieme alla vicina Veglia, è la maggiore isola dell’Adriatico, estendendosi in direzione nord-sud per una lunghezza di circa 80 chilometri. La circondano, quasi damigelle d’onore, alcune isole minori. Priva di abitanti nella sua parte nord, culminante nel Capo di Cherso che s’affaccia sul golfo di Fiume, è scarsamente abitata anche nel versante orientale, bagnato dal canale di Veglia e dal Quarnerolo. Circa tremila gli isolani, di cui poco più di 200 gli appartenenti a una minoranza italiana.

Fitti boschi di querce e coste ripide e accidentate con spettacolari vedute del Quarnaro caratterizzano la parte settentrionale. Boschi di conifere e insenature, la centrale. Nella meridionale, invece, Cherso digrada dolcemente verso l’isola di Lussino, alla quale era collegata in epoche remote da un sottilissimo istmo: al suo posto ora c’è un canale artificiale realizzato dai romani, l’attuale Cavanella.

Torniamo nella parte settentrionale dell’isola. All’interno di un parco naturale, ci sorprende la vista di un’azzurra conca adagiata nel verde: è un lago di acqua dolce, il Vrana, profondo 74 metri, il cui fondale si spinge 50 metri sotto il livello del mare senza che vi siano infiltrazioni di acqua salata. In quanto unica riserva d’acqua potabile che rifornisce anche la vicina Lussino, vi è severamente vietato pescare, fare il bagno o escursioni in barca. Eccezionalmente ricco di uccelli, è luogo ideale anche per l’osservazione e lo studio della fauna selvatica.

Anche a Cherso ne è passata di storia! Dopo la dominazione romana, gota e bizantina, l’isola fu a lungo contesa tra la repubblica di Venezia e i vicini regni di Croazia e Ungheria, finché nel tardo Medioevo passò alla Serenissima, la cui influenza si palesa in tante chiese, palazzi, torri, viuzze e calli sia del capoluogo Cherso, sia di altre cittadine come Lubenizze, Bali e Òssero (ancora oggi la parlata veneta vi è comune, insieme ad alcuni piatti tipici). Secoli dopo il dominio veneziano, l’isola entrò a far parte dell’Impero Asburgico. Assegnata, con la fine della Prima guerra mondiale, all’Italia insieme all’Istria e all’isola di Lussino, nel 1947 fu ceduta alla Jugoslavia.

Ora Cherso fa parte della Croazia ed ha cambiato il nome in Cres. Tra i centri dell’Adriatico settentrionale più intatti perché meno inflazionati dal turismo selvaggio, affascina per la sua «rude e selvaggia bellezza», secondo l’espressione di Meyra, che pur vivendo oggi alle porte di Verona non ha dimenticato la sua amata isola e non si stanca di decantarne il mare sempre limpidissimo, l’aria salmastra profumata di erbe selvatiche, le rocche argentate di ulivi, gli ardori estivi…  Meyra ha dedicato anche una pubblicazione ad una illustre isolana: è la venerabile suor Giacoma Giorgia Colombis, benedettina del monastero di San Pietro Apostolo, che si specchia nell’insenatura marina Vallon di Cherso. Vissuta tra il 1735 e il 1801, questa monaca di vita esemplare favorita da doni mistici e da miracoli, in vita e in morte, scrisse per obbedienza oltre mille pagine, testimoni della sua intensa spiritualità e dei suoi colloqui con Gesù, Maria e diversi santi.

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