Cercando linee d’intesa

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Gran rabbino, secondo lei, il comune riferimento ad Abramo in che modo va declinato nelle relazioni tra le tre religioni che si riferiscono congiuntamente al patriarca di Ur dei Caldei? La questione è diversa per quanto riguarda i singoli rapporti tra le tre religioni. Noi ebrei, e in parte anche i cristiani, crediamo al racconto biblico su Abramo, il patriarca che ha scoperto il monoteismo e da cui discendono varie famiglie religiose presenti sulla terra. Noi, come popolo ebraico, ci identifichiamo con i discendenti di Abramo, nel senso che siamo passati attraverso Isacco e Giacobbe (cioè Israele), siamo cioè discendenti nella carne, oltre che nello spirito, di Abramo. Il cristianesimo costituisce un richiamo ideale al messaggio monoteistico di Abramo, e secondo alcune interpretazioni potrebbe essere disceso da Esaù, fratello maggiore di Giacobbe. Praticamente i fratelli maggiori sareste perciò voi cristiani, non noi ebrei! Per quanto riguarda il mondo islamico, esiste un rapporto di fratellanza, perché entrambi ci riconosciamo discendenti nei fratelli Isacco e Ismaele. Come è noto, infatti, il mondo musulmano si riconosce discendente di quest’ultimo, anche se le versioni del racconto nella Bibbia e nel Corano sono molto differenti. C’è quindi un rapporto complesso di fratellanza fisica e spirituale tra le tre religioni che si rifanno ad Abramo. Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a recarsi recentemente alla moschea di Roma? Le motivazioni vanno ricercate nel particolare momento storico che stiamo vivendo, nel quale si se- gnala purtroppo una recrudescenza di fanatismo religioso che rischia di offuscare la reale composizione molto variegata dei diversi volti religiosi. Per evitare l’identità che viene troppo spesso fatta tra Islam da una parte ed estremismo e terrore, è necessario aprire un dialogo fraterno con chi nell’Islam non condivide queste posizioni. Quali sono le relazioni attuali coi cristiani, dal suo punto di vista? Le relazioni si svolgono a diversi livelli, e perciò sono complesse. Naturalmente non mi occupo della parte diplomatica che si riferisce al rapporto Vaticano-Israele, anche se conoscere gli sviluppi di queste relazioni è importante comunque nel quadro del dialogo ebraico-cristiano più in generale. Ci sono state negli ultimi anni significative modificazioni in meglio, e un percorso non sempre lineare ma nel quale è possibile e necessario trovare delle linee comuni d’intesa. Se dovesse presentare in poche parole la comunità ebraica di Roma, come la definirebbe? Come concentrerebbe la sua lunghissima storia in poche righe? La comunità è un segno eccezionale e provvidenziale di sopravvivenza nello stesso luogo, di fedeltà alle proprie origini e di volontà di andare avanti. I matrimoni misti tra cristiani ed ebrei sono una spina nel fianco della comunità ebraica o una sorta di ponte gettato tra le due comunità? Come vanno questi matrimoni? La prima ipotesi è quella più corrispondente alla realtà, secondo il mio punto di vista. Sono legami che vanno più o meno bene nei rapporti di coppia (questo è un problema personale), ma per l’educazione dei figli è estremamente problematica. Questo va detto. In generale noi guardiamo in modo molto critico ai matrimoni misti, perché li consideriamo una grave perdita di identità. Il limite del dialogo è infatti quello della conservazione dell’identità. Nel momento in cui s’instaura un’unione mista, questo limite viene abbondantemente superato. Ci sono nella comunità ebraica delle persone che si convertono al cristianesimo, e viceversa? Ci possono essere conversioni da una parte o dall’altra, che comunque noi non andiamo mai a cercare. Il presidente di Confindustria ha dichiarato di porre molta attenzione a non farsi tirare per la giacca da questa o quella parte politica. Accade anche alla comunità ebraica, in questi tempi di elezioni? Questo genere di pratiche ha sempre avuto luogo. Comunque la comunità ebraica mi sembra essere abbastanza prudente da non manifestare alcuna accettazione di inviti provenienti da una parte o dall’altra. Sono stati comunque messi dei paletti che cerchiamo di rispettare. Tuttavia, al di là di questi, la comunità ebraica è attenta a non esporsi in un campo che non è religioso. L’antisemitismo conosce momenti di recrudescenza in particolare in alcuni paesi del nord dell’Europa, come Francia e Germania. Come legge la situazione italiana? Al momento in cui stiamo parlando la situazione è relativamente tranquilla. Bisogna sempre mantenere comunque uno sguardo attento sul fenomeno. Quando qualcuno avanza accuse generiche contro il potere economico e finanziario della comunità ebraica e la sua capacità di fare lobby, come è solito rispondere? Le accuse esistono, e lo so bene! Di solito la mia risposta è ironica: Magari ci fosse questo potere!. So bene io le condizione disperate in cui mi trovo ogniqualvolta debbo sostenere un’attività della nostra comunità!. Per finire, quali sono le principali linee del suo programma in quanto rabbino capo della comunità ebraica di Roma? Ci sono problemi esterni, come ho già detto nelle precedenti risposte che dicono il nostro impegno per un confronto rispettoso con la comunità circostante, ma che comunque sia ferma nella difesa delle reciproche identità. Per quanto riguarda la nostra comunità e i suoi problemi interni, sono sin dall’inizio del mio mandato impegnato fortemente in progetti educativi e formativi, sia formali che informali. Questa è la parte essenziale della nostra attività, che evidentemente ha poi numerosi altri impegni. Una fotografia delle relazioni A colloquio con Giovan Battista Brunori, giornalista del Tg2, che recentemente ha pubblicato “La croce e la sinagoga”. Perché il dialogo ebraico-cristiano ha ricevuto recentemente, secondo lei, un impulso come da anni non si conosceva? «Con la sua testimonianza, Wojtyla ha mostrato che la vocazione d’Israele “non è mai stata revocata” come afferma san Paolo: la sua vocazione permanente ancora oggi sussiste anche se è diversa dalla nostra e ci interroga. Con l’elezione di Benedetto XVI questo legame spirituale è stato ancora più evidenziato dalla personalità di un papa teologo e, non dimentichiamolo, tedesco: in questo momento storico in cui la sfida dell’integralismo si fa pressante e alla quale i cristiani devono rispondere con mitezza ma anche con determinazione, il rilancio delle radici cristiane dell’Europa (che papa Wojtyla definiva giudaico-cristiane) porta con sé anche il rilancio di valori come la libertà i diritti dell’uomo e della donna, la sacralità della vita, la famiglia, eredità che abbiamo ricevuto da chi chiama, come noi, Dio Padre e condivide con noi una parte importante delle Scritture. In margine alla visita del rabbino Di Segni alla moschea di Roma, nell’attuale contingenza geopolitica, quale ruolo può giocare il rapporto tra i fedeli delle religioni che si richiamano ad Abramo? Ebrei, cristiani e musulmani possono dare al mondo lo spettacolo di un’armonia che va oltre le diversità: gli uomini di fede, ciascuno nella propria confessione di appartenenza, possono favorire la corretta interpretazione delle Scritture che ci parlano di un Dio della vita e non della morte. Il dialogo, come ad esempio fa da tanti anni il Movimento dei focolari, è una scuola del rispetto che contribuisce a disinnescare l’odio, che è frutto di una coscienza di sé molto fragile. Solo l’amore può rafforzarla e in questo i cristiani, nel mondo, possono svolgere un importante ruolo di mediazione. Qual è stata la molla ispiratrice nella redazione di La croce e la sinagoga, (Franco Angeli)? Ho cominciato a scrivere questo libro quando ho visto, soprattutto in occasione del Giubileo, che tra ebrei e cristiani i rapporti si facevano sempre più tesi: non solo si voleva, legittimamente, chiarire la propria posizione, ma si cercava quasi un nemico per coprire le proprie debolezze interne. Per questo nel delicato passaggio da un pontificato ad un altro, ho voluto capire in che misura la chiesa e le comunità ebraiche fossero davvero interessate al dialogo, e dare, se possibile, un contributo ad esso. Quali le prospettive del dialogo ebraico-cristiano dal tuo osservatorio privilegiato? Il rapporto con mia moglie, ebrea, e con i nostri quattro bambini è fonte di grande vitalità, di arricchimento e di pace. Io ovviamente sono più coinvolto nelle attività della comunità parrocchiale, mentre Giovanna frequenta il Tempio. Ma collaboriamo nel servizio ai poveri, nelle attività educative per i giovani, ed anche negli incontri biblici. Credo che il dialogo possa irrobustire la nostra fede, e credo serva anche agli altri conoscere la nostra esperienza e collaborare con noi per difendere la persona umana, oggi minacciata da chi vuole ridurla ad un oggetto. Il conflitto israelo-palestinese in che misura sta minando i rapporti ebraico-cristiani? La politica purtroppo divide: penso però che i rapporti ebraicocristiani si stiano rafforzando, nonostante tutto. In fondo l’obiettivo di due popoli, due stati è condiviso dal Vaticano, dalla maggioranza degli israeliani e anche dalla maggioranza dei palestinesi: nonostante la vittoria di Hamas sia fonte di preoccupazione, i sondaggi ci dicono che i palestinesi hanno voluto punire la corruzione del governo precedente, ma vogliono che si arrivi ad un accordo con Israele.

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