C’è un legame tra cibo contaminato ed inceneritori?

Se n'è discusso a Napoli, nel corso degli incontri previsti dal decimo Forum internazionale per la salvaguardia della natura. Opinioni a confronto
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Risolvere il problema dei rifiuti è una sfida epocale e al contempo di sopravvivenza: tutti possono dare una mano concreta, concorrendo ad un approccio davvero multidisciplinare, a tutti i livelli. Il segnale emerge chiaramente e senza mezzi termini dalle relazioni presentate in occasione del decimo Forum internazionale per la salvaguardia della Natura, organizzato a Napoli dall’associazione Greenaccord in collaborazione con il Comune partenopeo.

Impressionanti i dati presentati da William Rees, docente della British Columbia University, secondo i quali le economie urbane producono quantitativi di rifiuti mai visti finora:11 tonnellate pro capite da ogni cittadino giapponese, addirittura 25 per ogni cittadino americano. Nel frattempo, il 30 per cento del terreno agricolo è diventato improduttivo a causa del consumo di suolo, che continua a ritmi fino a 40 volte più veloci di quanto la Terra possa sopportare. Non va meglio per gli oceani, dove l’82 per cento degli stock di pesce sono sovrasfruttati e ciò provoca il depauperamento delle risorse ittiche mondiali.

«Molte variabili naturali stanno ormai raggiungendo il punto di non ritorno: l’acidificazione degli oceani, l’uso di risorse idriche, il consumo di suolo, lo sfruttamento di biodiversità. Purtroppo tendiamo ancora a ignorare questo problema, perché questo è un film che l’opinione pubblica mondiale non vuole andare a vedere», osserva Robert Costanza, economista ecologico, docente di Public Policy all’Australian national university. «Il cambio di paradigma è indispensabile per non soccombere come avvenuto in passato ad altre società umane. In primo luogo, abbandonando l’idea secondo cui la crescita economica sia potenzialmente infinita».

Secondo Costanza è tuttavia possibile, oltre che auspicabile, costruire una società che sappia calcolare gli effetti negativi della produzione dei rifiuti sul benessere umano. Per farlo, bisogna aggiornare gli strumenti che misurano lo sviluppo. A partire dal Prodotto interno lordo. «Paradossalmente – afferma – il Pil cresce se ci sono più rifiuti, se l’uomo deve intervenire quando una nave versa petrolio in mare o quando le emissioni di gas nocivi raggiungono livelli intollerabili per la salute pubblica». Se i nuovi indicatori devono dunque iniziare a includere i costi sociali di un prodotto, gli interventi possibili non sono solo quelli che i governi possono assumere a livello internazionale. Già dalle comunità locali può partire un nuovo modo di pensare il benessere. Ad esempio rispolverando il vecchio concetto di condivisione dei beni.

«Ripensare lo stile dei consumi è cruciale se vogliamo far ripartire il mondo» spiega Friederich Hinterberger, ricercatore del  SERI (Sustainable Europe Research Institute) di Vienna. «Penso al car sharing, assai diffuso nella città in cui vivo, o alla condivisione di elettrodomestici da collocare negli spazi comuni degli edifici. Al tempo stesso dobbiamo capire da dove arrivano le risorse che consumiamo: solo abbracciando una nuova idea di uso comune delle risorse e dei beni potremo guardare al futuro con rinnovata fiducia».

Ma come “aggredire i rifiuti”? Attenzione alle tante voci improprie o colpevolmente interessate, a partire dalla caldissima questione degli inceneritori: «probabilmente sono studi sbagliati quelli che hanno convinto il professor Umberto Veronesi a dichiarare innocui i nuovi inceneritori» dichiara lo scienziato Federico Valerio, sul cui blog sono disponibili accurate ricerche, troppo a lungo ignorate. «La giusta impostazione di uno studio finalizzato a valutare gli effetti sanitari dell’inquinamento ambientale si fa conoscendo a fondo la natura dei composti che si fondono e quelli che si formano durante la combustione ed escono dai camini – si pronuncia – e il loro destino a lungo termine rispetto all’ambiente».

Scopriamo così che il 95 per cento delle diossine presenti nel nostro corpo proviene di fatto da cibi contaminati e che questo genera nei nuovi nati malformazioni all’apparato urinario, come peraltro già provato dallo studio del prof. Cordier nel 2010. «Anche nei fumi dei più moderni inceneritori sono inevitabilmente presenti composti che si formano durante la combustione e che sono particolarmente pericolosi perché non biodegradabili e concentrati nella catena alimentare».

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