Ce l’ho, ce l’ho, mi manca, mi manca

In mostra 50 anni di figurine Panini.
Bambini che si scambiano figurine

«Celo, celo (sta per “ce l’ho, ce l’ho”), mi manca, mi manca…», era il richiamo che attendevamo. Prima di entrare a scuola, all’uscita, soprattutto alla ricreazione. A quel richiamo, in un baleno, noi ragazzi accorrevamo in chiassosi capannelli. Le ragazze penso avessero altro da fare. E comunque non ce ne curavamo: era molto più attraente trovare la figurina di Cinesinho del Lanerossi Vicenza, scambiare Haller con Pascutti o Hamrin, offrire 30 figurine doppie per avere l’introvabile Pier Luigi Pizzaballa, portiere dell’Atalanta ’63-’64.

 

«Non esistono figurine rare», assicuravano dalla Panini, dove quattro fratelli, uomini dinamici, figli del loro tempo – gli anni Sessanta del boom economico –, dagli interessi poliedrici e multiformi, avevano “inventato” quel prodotto commerciale così unico e particolare: le “figurine”. Nel cinquantesimo di fondazione dell’azienda, la mostra aperta in queste settimane a Roma non è solo una rassegna di immagini e di raccolte, ma una celebrazione della nostra infanzia e della spensieratezza con cui tutti noi abbiamo aperto, almeno una volta nella vita, una bustina Panini, sperando di trovare l’ultima magica figurina che ci serviva per completare l’album.

 

Dal 1961 le figurine Panini sono in tutte le edicole italiane e custodiscono in una bustina i più svariati temi: dalle figurine didattiche, che negli anni Sessanta e Settanta hanno aiutato milioni di ragazzi nelle ricerche scolastiche, a Sandokan, Pinocchio e Heidi; dai grandi eventi sportivi, le Olimpiadi e i Mondiali di calcio, alle saghe di Guerre Stellari e Harry Potter.

 

Ma l’icona per eccellenza della figurina resta quella dei calciatori; alle immagini dei campioni del pallone, a partire dalla prima figurina, quella di Bruno “Maciste” Bolchi, roccioso mediano dell’Inter, si deve il boom del fenomeno Panini: dai tre milioni di figurine stampate il primo anno, con Nils Liedholm sulla copertina dell’album, al miliardo di oggi. L’inizio della scuola coincideva con il tanto atteso arrivo dell’album del nuovo campionato, con una copertina sempre nuova, ma con la presenza rassicurante del mitico giocatore, Riola, in rovesciata; l’immaginazione era capace di vedere già riempite quelle centinaia di caselle vuote, perché non c’era a gennaio il mercato di riparazione dei calciatori e il cambio di casacca durante la stagione non era nemmeno concepibile.

 

La nostra cultura calcistica cresceva, anno dopo anno, solo immaginando, grazie alla radio, le gesta dei nostri campioni e leggendo le didascalie in calce all’immagine delle figurine: luogo e data di nascita, partite giocate, gol fatti… In quegli anni, l’album costava 30 lire (pari a 0,02 euro) e la bustina 10: conteneva due figurine in cartoncino leggero, che richiedevano di essere attaccate con la “coccoina”, la colla bianca, solida, con la palettina, usata normalmente negli uffici. Dopo qualche anno di “celline”, i triangolini biadesivi da apporre sul retro della figurina, le prime adesive furono introdotte nel ’71.

 

Quelle poche lire, necessarie all’acquisto di una bustina, le tiravamo fuori con ogni mezzo: rinunciando al panino con l’uvetta, dal resto della spesa per la nonna, sottraendole in un momento di distrazione dalla borsetta della mamma. Dopo qualche settimana, almeno una tasca dei pantaloni esibiva il tipico gonfiore del mazzetto delle figurine da scambiare, rigorosamente legate da un elastico. Quando le “doppie” cominciavano a diventare tante, ti giocavi i mazzetti di figurine in un gioco che aveva regole e nomi diversi lungo la penisola: si tiravano a una a una, con due dita, contro il muro e le perdevi o le vincevi a seconda che cadessero dritte o rovesce o che ne coprissero altre.

 

Completare l’album entro gennaio era una questione d’onore: quelli che ricorrevano all’acquisto in extremis delle mancanti erano gli sfortunati o coloro che avevano pochi amici. Riempiva il cuore d’orgoglio sfogliare e risfogliare quell’album divenuto voluminoso e ondulato, che raccoglieva le immagini, tutte, dei nostri beniamini. Non sapevamo chi fosse lo scrittore Stendhal e non ci curavamo che avesse detto: «Nulla rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una collezione». Sarà, ma noi che ce l’eravamo sudata, comprendiamo perché oggi una raccolta, in ottimo stato, completa, delle prime collezioni dei Calciatori venga acquistata a cifre vicine ai mille euro. E comunque una collezione di figurine, per noi giovani promesse italiane, era sempre meglio di una collezione di figuracce come quelle che ci tocca fare oggi in tanti campi…

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