Campi rom. Dopo lo scandalo, una politica inclusiva

La commissione diritti umani del Senato e il neo assessore capitolino alle politiche sociali visitano il “Best house rom” sulla Tiburtina annunciandone la chiusura entro tempi brevi. Ma può esistere una politica abitativa di inclusione sociale per i rom? Il parere dell’urbanista Carlo Cellamare dell’Università La Sapienza di Roma, tra i promotori del convegno internazionale “Oltre il campo”
Il riscatto di Roma passa dal superamento dei campi rom

Mentre le indagini in corso sulla corruzione e la presenza delle mafie a Roma continua a generare nuovi arresti, Luigi Manconi e Manuela Serra, quali rappresentanti della Commissione diritti umani del Senato, hanno visitato il centro di accoglienza “Best House Rom” sito sulla via Tiburtina di cui abbiamo già parlato su cittanuova.it. Li ha accompagnati il nuovo assessore alle politiche sociali di Roma Capitale, Francesca Danese, che, come riporta l’associazione 21 luglio, ha definito il centro «un mostro, una bruttura figlia delle proroghe dietro le quali si è insediato il malaffare». Per questo centro di raccolta riservato ai soli rom, il comune di Roma ha speso, secondo la ricostruzione della 21 luglio, quasi 3 milioni di euro.  Come ha riconosciuto il neoassessore Danese «il centro ha costi altissimi per l’amministrazione comunale, oltre 700 euro al mese a persona e non possiede i requisiti igienico-sanitari». La chiusura avverrà entro un paio di mesi.

Casi come la cosiddetta “Best house rom” diventano il detonatore di una situazione insopportabile sotto diversi aspetti, ma la questione dei cosiddetti nomadi è evidentemente irrisolta, nonostante le condanne dell’Onu e dell’Europa verso la gestione segregata dei campi rom che avviene ancora in Italia.

Di fatto abbiamo un sentire comune che vuole rimuovere tale anomalia assieme ad una realtà umana che sembra difficile se non impossibile da integrare.  Eppure proprio su questo tema si è svolto recentemente nell’università di Roma un convegno internazionale sulla questione abitativa dei rom. Ne parliamo con il professor Carlo Cellamare, tra i promotori dell’iniziativa sempre attento alle periferie della grande città.

Da cosa è nata la proposta di un convegno su un tema così spinoso?  

«Il 29 novembre scorso il nostro Dipartimento Dicea (Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale della Sapienza Università di Roma) insieme all’Associazione 21 luglio ha organizzato un convegno internazionale dal titolo “Oltre il campo” sia per denunciare la politica non più sostenibile dei campi rom a Roma, sia per evidenziare una cattiva gestione dei fondi destinati al problema, sia per illustrare le possibili politiche per sviluppare percorsi e soluzioni alternativi, utilizzati in Italia e in Europa.  Tre giorni dopo, neanche a farlo apposta, è esploso il caso di “Mafia Capitale”…».

Che tipo di scenario è emerso dal convegno?

«Il caso dei campi rom è un problema in primo luogo di ghettizzazione, e quindi di mancanza dei diritti civili e di adeguate condizioni di vita (come testimoniano le condanne dell’Unione Europea e di altre associazioni di difesa dei diritti civili), ma in secondo luogo anche di cattiva gestione dei finanziamenti pubblici. L’Associazione 21 luglio ha quantificato i fondi utilizzati e ha ben dimostrato come di tali fondi pochissimo arrivi ai singoli potenziali beneficiari, mentre la maggior parte si perda nella gestione della struttura e del sistema; e le vicende di “Mafia Capitale” ci hanno confermato le peggiori aspettative circa la destinazione di questi fondi».

Quale strada alternativa è percorribile ?

«Con i fondi disponibili in un anno gran parte del problema abitativo potrebbe essere totalmente risolto attraverso, per esempio, il sostegno all’autorecupero da parte di cooperative miste (di rom e non rom). La politica dei campi è, al contempo, una politica che porta alla ghettizzazione e all’assistenzialismo, mentre bisogna sostenere lo sviluppo di percorsi di autonomia delle popolazioni rom nei confronti del lavoro e dell’abitazione. E, in questo, l’esempio dell’autorecupero è un ottimo esempio. Il caso dei rom, se da una parte è la miccia e il capro espiatorio di tutte le tensioni che percorrono una periferia a cui non sempre è riconosciuta cittadinanza, dall’altra è anche un caso emblematico di come molti problemi potrebbero essere risolti attraverso politiche diverse, un buon uso dei fondi pubblici disponibili, il coinvolgimento degli abitanti e delle energie sociali esistenti».

 

Informazioni e materiali del convegno su: http://www.dicea.uniroma1.it/it/content/convegno-internazionale-oltre-il-campo.

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