Bene comune, bene di tutti

La manovra finanziaria pone interrogativi sulla credibilità del nostro Stato e sui sacrifici scaricati su altri per evitare impopolarità 
Economia

Ormai sappiamo che il governo italiano, come gli altri governi europei, si è impegnato a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014 e che dobbiamo recuperare da qui ad allora almeno 47 miliardi di euro, tra tagli di spesa e nuove entrate. 

 

Il rinvio della vera manovra Invero ne servirebbero almeno altri 20 miliardi per rilanciare l’economia, riducendo i carichi fiscali sul lavoro, incentivando il lavoro dei giovani, finanziando l’innovazione, la ricerca e la internazionalizzazione delle aziende italiane medio piccole.

 

Invece di questi ulteriori venti miliardi neppure si accenna, e dei 47 miliardi si prevede di raccoglierne quest’anno un miliardo e mezzo e l’anno prossimo sei, lasciandone 40 sulle spalle del governo che nascerà dalle future elezioni. Per di più si assiste ad attacchi al ministro garante della manovra anche all’interno della maggioranza; non ci si deve quindi stupire se i mercati internazionali non giudicano credibile la manovra e la speculazione si scatena, con perdite di borsa ed un aumento del costo per le future emissioni di titoli di stato italiano, che renderà ancora più difficile far quadrare i conti.

Le elezioni possono non essere lontane, e chi ragiona mettendo al primo posto il suo tornaconto personale e pensa che tutti siano come lui, pensa che imporre subito maggiori sacrifici gli farà perdere voti: meglio quindi rimandare i tagli e concentrarli sui finanziamenti alle amministrazioni locali: se esse non riusciranno poi a far quadrare i bilanci, pensino i loro amministratori, magari di altri partiti, a prendersi l’impopolarità di nuovi balzelli.

 

Stipulare un’assicurazione con lo Stato In tutto questo il concetto di bene comune non sembra proprio essere preso in considerazione, forse perché nel bene comune non si pensa che rientri anche il nostro: ed invece mai come in questi frangenti siamo tutti nella stessa barca: se il nostro paese diventasse insolvibile, ci rimetteremmo tutti, anzi ci rimetterebbe di più chi di più ha onestamente o disonestamente accumulato, che in questi giorni è in effetti il più preoccupato.

 

Quando la possibilità di un rischio paese si avvicina, come abbiamo provato solo due anni fa, quando come era successo anni prima in Argentina vi era il dubbio che le banche non fossero in grado di restituirci i nostri risparmi, non vi sarebbe risparmiatore che davanti al pericolo di perdere tutto non sarebbe disposto a stipulare con lo stato una assicurazione, investendo in essa una frazione dei propri beni, non dei propri guadagni dell’anno; cioè ad acconsentire ad una imposta sul patrimonio, ad esempio pari all’uno o due per cento del valore dei suoi averi. Naturalmente un’assicurazione si stipula con un ente credibile, che assicura la buona amministrazione dei premi versati.

 

La credibilità della nostra politica Lo è il nostro governo, la nostra politica credibile? Occorrerebbe che i partiti al governo e quelli all’opposizione dimostrassero di voler davvero rispettare la promessa di lottare contro l’evasione fiscale, di impedire l’elezione di persone indegne, di restituire ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti al parlamento e di ridurre il costo abnorme della politica: al momento, la votazione sulla abolizione delle provincie, non passata grazie alla astensione del partito democratico, purtroppo questa garanzia ancora non c’è.

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