Beirut – Venerdì Santo

Le lacrime di un Libano perennemente travagliato. Un vero venerdì santo, a Byblos.
Byblos

 

Non esistono molti siti al mondo come Byblos, Jbail in arabo, sulla costa libanese, quaranta chilometri a nord della capitale Beirut, sulla strada verso Tripoli: la storia in un fazzoletto di terra proteso verso il mare, dal V millennio prima di Cristo in poi, come testimoniano oggetti di metallo e ceramica, al tempio di Baalat Gebal, costruito su una grotta sacra; ancora, i fenici e le loro navi, e poi gli amorini, senza dimenticare gli egizi in lotta tra loro, e gli hyksos asiatici, greci e assiri e persiani, romani e ottomani, crociati e saladini… Qui è stato ritrovata la più antica testimonianza di uno dei primissimi alfabeti conosciuti, quello fenicio.

 

Sapevo che un passaggio non certo ufficiale, ma almeno tollerato, portava a una tomba affascinante e antica, quella di Yp-Shemu-Abi, principe del IX secolo avanti Cristo. Mi ci vogliono dieci minuti di ricerca per individuare il pozzo giusto, tra i tanti che forano il terreno. Scendo una dozzina di metri per un camminamento che con tutta probabilità era una scala riservata ai sacerdoti della religione pagana dell’epoca. Lo si intuisce dalle parvenze di gradini che lungo le pareti dell’angusto passaggio ancora s’intravedono, mentre nel camminamento praticabile sono quasi scomparsi. In una profonda nicchia alla base del pozzo un’astronave riposa con le sue antenne simili a enormi bottoni, antico sarcofago di un re perso nei millenni.

 

Il mistero di Byblos sta nell’acqua del mare, onnipresente, un orizzonte e una minaccia, una speranza e una frontiera. Il sito dei neolitici e dei crociati pare una vasta scalinata degradante verso l’infinito liquido, e ascendente verso l’infinito gassoso. Oggi è venerdì santo, e nell’aria si spande l’omelia del prete maronita, e poi il sermone dell’imam sunnita. Impossibile distinguerli persino per chi conosce l’arabo. Parlano di sofferenza e di sacrificio. Parlano del Libano, terra di lotte e di guerre, di convivenza voluta o forzata, sempre sull’orlo del baratro o del cielo, come canta un proverbio locale.

 

Il prete parla della situazione libanese, del sacrificio di un uomo (Rafik Hariri) per il bene comune, dell’unità che nasce dalla condivisione del dolore; non è politica, questa, è pre-politica, è umanità che vuol essere più umana. Qualche persona si asciuga una lacrima; sono momenti decisivi per la rinascita del Libano. O per la sua morte. A sera, poi, torno a Damasco, fa freddo e tira vento, è proprio un venerdì santo.

 

(Estratti dal libro di Michele Zanzucchi: Cristiani nelle Terre del Corano, Città nuova 2007)

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