Beatificato il primo martire laico indiano

Devasahayam Pillai, convertitosi dall'induismo alla fede cristiana, moriva ucciso nel 1752 dopo aver subìto il carcere e l'esilio forzato nella foresta di Aralvaimozhy. Un momento importante per la comunità locale
Diocesi di Kottar

Ricordo che nei primi anni Ottanta, nel corso di una conversazione con una personalità della Chiesa cattolica a New Delhi, mi fu fatto notare che nella Chiesa indiana, pur risalente all’epoca apostolica, non c’erano martiri. L’affermazione mi colpì e, nel corso degli anni, mi è spesso tornata alla mente. Ho cercato di dare una spiegazione, lo ammetto, senza riuscirci. Negli ultimi anni, episodi di intemperanza religiosa da parte del fondamentalismo hanno colpito anche persone di religione cristiana, spesso, bisogna sottolinearlo, non cattolica ma di movimenti pentecostali o evangelicali. È successo che atti crudeli nei confronti di cristiani fossero legati a questioni sociali più che religiose, ma non sono mancati anche esempi di morti legate all’appartenenza religiosa. Proprio in questi giorni ricorre il primo anniversario dell’uccisione di una suora – ne avevamo parlato lo scorso anno – che si era impegnata nella difesa delle zone tribali contro i magnati delle miniere.

Domenica scorsa, comunque, è stato beatificato Devasahayam Pillai, morto martire nel 1752. Il vescovo di Kottar, Peter Remigius, la diocesi all’estremo Sud dell’India, nello Stato del Tamil Nadu, ha sottolineato come la vita del nuovo beato sia stata una «combinazione unica di devozione, coraggio e sofferenza». Pillai era un laico, convertitosi dalla tradizione indù alla fede cristiana.

Originario del distretto di Kanyakumari, Devasahayam Pillai era nato in una famiglia indù di casta nair (i guerrieri) ed era parte del cerchio della famiglia reale di Travancore (che comprendeva gli attuali Stati di Tamil Nadu e Kerala). Il contatto di Pillai con il cristianesimo avvenne grazie a un capitano della marina olandese, Eustachius De Lannoy. Nel 1745 ricevette il battesimo da un padre gesuita e divenne cattolico. La sua conversione avrebbe portato altri membri della sua famiglia alla fede cristiana, creando tensioni all’interno del cerchio sociale. Per questo uno swami, sacerdote indù, accusò Pillai di avere tradito la sua tradizione religiosa e sociale. Da qui l’allontanamento del neo-cristiano dal palazzo reale di Trevancore e la sua incarcerazione, durante la quale si aggiunsero anche torture particolarmente dolorose. Veniva battuto e del pepe (molto comune nel Sud India) veniva sfregato nelle sue ferite. Fu poi costretto a un esilio forzato nella foresta di Aralvaimozhy, una zona completamente isolata ai confini del regno di Trevancore. Fu, poi, ucciso nel 1752, forse da colpi di pistola esplosi da soldati del re. Oggi le sue reliquie si trovano vicino all'altare della cattedrale di St. Xavier, a Kottar. 

Domenica scorsa, decine di migliaia di cattolici provenienti da diverse parti dell'India hanno partecipato alla cerimonia di beatificazione, tenutasi all’interno del grande campus della Carmel School a Ramanputhoor (diocesi di Kottar, Tamil Nadu), nelle vicinanze della località natale del martire, presieduta dal card. Angelo Amato, in qualità di delegato papale, da mons. Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India, e dal card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale del Paese. Alla cerimonia hanno preso parte anche 40 vescovi e quasi duemila fra sacerdoti e suore.

Nel corso della cerimonia, Peter Remigius ha raccontato alcuni aneddoti sulla vita del laico indiano e sul suo martirio. Il vescovo ha sottolineato come la beatificazione di Pillai sia un «dono per l’Anno della fede» indetto da Benedetto XVI e costituisce ed una "benedizione" per il popolo indiano. Nella stessa giornata di domenica anche Benedetto XVI, nel corso dell’Angelus, affermando che la «testimonianza a Cristo è un esempio di quella tensione alla venute di Cristo a cui ci richiama questa prima domenica di Avvento».

L’evento è stato un momento importante per la Chiesa in India ed ha messo anche in evidenza come nella sensibilità della tradizione locale, la santità sia già percepita dalla vita e tramandata di generazione in generazione. «Per noi è già un santo», ha affermato per esempio ad alcuni organi di stampa Anthoni Ammal, un sessantenne cristiano della zona di Kanyakumari. «Quando abbiamo difficoltà, ci rivolgiamo a lui in preghiera e immediatamente ci sentiamo sollevati».

 

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