Arrivederci Daegu

Conclusi i mondiali di atletica leggera, tra conferme e vincitori a sorpresa. Grandi protagonisti i ragazzi e le ragazze keniane
kiplagat

Una festa di sport, ma non solo – Per capire cosa rappresenti per uno sportivo partecipare ad un campionato del mondo di atletica leggera basta chiedere informazioni a Susana Feitor. La trentaseienne marciatrice portoghese, infatti, ne sa qualcosa. Presente giovanissima già a Tokyo, nel 1991, quando il mondiale era giunto solo alla sua terza edizione, Susana, esattamente venti anni dopo, ha stabilito in questi giorni il nuovo record di presenze in questa manifestazione: 11 campionati del mondo consecutivi, da Tokyo ’91 a Daegu 2011, passando per le edizioni di Stoccarda, Goteborg, Atene, Siviglia, Edmonton, Parigi, Helsinky, Osaka e Berlino. Un vero e proprio giro del mondo. «I ricordi più belli non sono però legati solo alle mie gare migliori, ma anche al fatto di aver potuto rappresentare il mio Paese in una manifestazione di queste dimensioni (in Sud Corea erano presenti ben 202 nazioni, ndr), all’aver potuto conoscere ragazzi e ragazze di ogni parte del globo, all’aver potuto toccare con mano le differenti culture dei Paesi ospitanti».

 

Cosa rimane di Daegu – È stato un mondiale in cui alcuni favoriti sono riusciti a confermarsi. Come il keniano David Rudisha, lo spettacolare interprete del doppio giro di pista, che ha dominato la finale degli 800 maschili dal primo all’ultimo metro. Ma è stato anche un mondiale in cui alcune stelle hanno deluso le aspettative, come la zarina Elena Isinbayeva nel salto con l’asta, ed in cui nuovi volti si sono affacciati alla ribalta, come il diciannovenne rappresentante di Grenada Kirani James, vincitore nei 400 maschili. Il personaggio, nel bene e nel male, è stato però ancora una volta lui: Usain Bolt. La sua falsa partenza e conseguente squalifica nella finale dei 100 metri è stato certamente l’evento che più ha riempito le pagine dei giornali. Smaltita la delusione, il “fenomeno” giamaicano si è poi rifatto andando a vincere l’oro sia nei 200 che nella staffetta 4×100 (in quest’ultimo caso con record del mondo).

 

Daegu è stato anche il primo mondiale che ha visto competere un atleta amputato ad entrambe le gambe (il sudafricano Oscar Pistorius) insieme a ragazzi “normodotati”, ed è stata pure la prima volta in cui una coppia di gemelli (i belgi Jonathan e Dylan Borlée) hanno gareggiato insieme in una finale iridata (i 400 metri maschili), la prima volta in cui alcuni Paesi, solitamente ai margini di questa disciplina, sono riusciti a salire sul podio (come Botswana o Iran). Alla fine sono state 41 le nazioni presenti nel medagliere, a dimostrazione dell’universalità di questa affascinante disciplina. Un medagliere chiuso proprio dall’Italia, giunta in Sud Corea con un numero molto esiguo di atleti (solo 33, a sottolineare la crisi del nostro movimento di vertice in questo sport), e tornata a casa con la medaglia di bronzo di Antonietta Di Martino nel salto in alto. La ragazza di Cava dei Tirreni, alta “solo” 1 metro e 69 centimetri, continua a stupire il mondo, e dopo l’argento dei mondiali di Osaka del 2007 mette in bacheca un’altra medaglia di prestigio in una specialità in cui sembrerebbe non avere molte possibilità, almeno a vedere sulla carta la differenza di altezza che la separa dalle sue più accreditate rivali: brava Antonietta!

 

Tante vittorie keniane. Anche al femminile – E se non stupisce il fatto che il maggior numero di medaglie (25) le abbia conquistate lo squadrone statunitense, va sottolineato il boom fatto registrare dal Kenya, terza forza di questi mondiali dietro americani e russi, con ben 17 medaglie vinte, di cui 7 del metallo più pregiato. Protagonisti ormai da qualche decennio prima nei 3000 siepi, poi più in generale in tutte le prove di mezzofondo e nella maratona, gli atleti degli altopiani, capaci di correre con continue accelerazioni e decelerazioni a cui pochi altri atleti al mondo sono capaci di resistere, stanno sempre più ritagliandosi un ruolo da protagonisti in questo sport. Ma sino ad ora, salvo rare eccezioni, vi erano riusciti quasi esclusivamente al maschile.

 

Questa volta, invece, gli applausi sono stati ugualmente ripartiti tra uomini e donne. Un risultato che fa riflettere, anche perché, come avviene in molte altre nazioni africane, spesso le ragazze di questo Paese non hanno la stessa possibilità di praticare sport dei loro colleghi uomini. La maggior parte di loro, infatti, si sposa in età giovanissima, e di conseguenza abbandona lo sport per dedicarsi esclusivamente alla gestione familiare. Normalmente continuano solo quelle che hanno la fortuna di sposare un altro atleta che molte volte, oltre a diventare loro marito, si prende anche cura di allenarle. Come accaduto proprio alla trentunenne Edna Kiplagat (vincitrice della maratona), sposata con Gilbert Koech, buon interprete dei 10000 maschili. «Ho capito che aveva più talento di me, così l’ho aiutata ad allenarsi per arrivare al tetto del mondo», ha spiegato Koech. Davvero un’ottima scelta!

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