Armi italiane per i Paesi in guerra

Sei mesi di missione in Africa e Golfo Persico della nostra portaerei con la presenza prevalente delle aziende di armamenti. Stavolta battiamo sul tempo i francesi. Un dibattito da non rimuovere
Portaerei Cavour

«Ormai il dado è tratto», ha affermato a inizio novembre Michele Nones, direttore dell'area Sicurezza e difesa del prestigioso e autorevole Istituto affari internazionali: con la decisione di cedere entro fine 2013 il controllo di Ansaldo energia, il gruppo Finmeccanica ha finalmente adottato la «strategia di concentrazione dell’aerospazio, sicurezza e difesa e di abbandono dei settori esclusivamente civili». Allo stesso tempo, il 14 dello stesso mese di novembre è salpata da Civitavecchia la portaerei Cavour con un carico di prodotti d’eccellenza dell’industria militare, prevalentemente delle aziende di Finmeccanica, da esporre ai potenziali acquirenti dei 20 Paesi africani e del Golfo Persico che saranno toccati nella missione destinata a concludersi il 7 aprile con il ritorno a Taranto, luogo emblematico dei nodi irrisolti e dolorosi della politica industriale italiana.

La missione costerà 20 milioni di euro, ma la gran parte, 13 milioni, sono a carico delle aziende promotrici. Restano a carico dello Stato i 7 milioni di euro necessari per l’indennità di missione e di imbarco, anche se, nel computo dei costi, occorre tener conto che Finmeccanica è ancora sotto controllo pubblico.  

La denuncia di Rete Disarmo
Secondo Rete Disarmo si tratta di una scelta sconcertante e preoccupante considerato «lo stato di tensione dell’intera zona mediorientale in cui il gruppo navale Cavour farà tappa e soprattutto il grave deficit di libertà democratiche a fronte di ingenti spese militari e di un livello basso di sviluppo umano di diversi dei Paesi che saranno visitati». In particolare dodici nazioni attraversate dal tour italiano «sono da considerare, secondo l’indice di democrazia dell’Economist, “regimi autoritari” (Gibuti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar, Oman, Madagascar, Angola, Congo, Nigeria e Algeria)». Nulla di nuovo se si tiene presente, come fa notare Giorgio Beretta, analista di Rete Disarmo «che i ministeri della Difesa a cui la Cavour esibirà il campionario bellico delle ditte di Finmeccanica sono stati destinatari, nell’ultimo quinquennio, di quasi 5 miliardi di euro di armamenti, cioè di circa il 30 per cento di tutte le esportazioni italiane di sistemi militari».

Mission bipartisan
Questa fiera galleggiante del made in Italy è una grande occasione, secondo il ministro della Difesa Mauro, per rilanciare il “sistema Paese” e stavolta si può dire, come notano alcuni osservatori, che riusciamo a battere sul tempo la Francia che ha organizzato una missione analoga, negli stessi Paesi, con la portaerei Charles De Gaulle. Il termine “sistema Paese” circola da tempo e lo abbiamo riportato già su cittanuova.it per riferire le analisi avanzate nel 2007 dal generale Carlo Jean, esperto di geostrategia e docente dell’università di Confindustria Luiss, sulla rivista dell’istituto Aspen. L’ex addetto militare del presidente Cossiga invitava a riconoscere, per non rimanerne esclusi, la competizione in atto tra le imprese strategiche che definiscono il «cuore oligopolistico mondiale» (nucleare, armamenti e aerospazio). Citando come esempio da seguire proprio la Francia, Jean ricorda l’opera bipartisan dei governi italiani (Dc, con alleati, e Pci) che riuscirono, negli anni ’80, ad aprire la strada alle imprese nazionali verso l’Iraq cedendo tecnologia e apparati nucleari e ricevendone in cambio «l’acquisto di armamenti italiani oltre alla concessione dei diritti di esplorazione su promettenti campi petroliferi». «Cosa impedirebbe anche oggi di procedere in modo analogo?», è la domanda retorica di Jean.

Il ministro Mauro, dopo alcune iniziali dichiarazioni in conferenza stampa sull’opportunità del tour navale per l’industria bellica italica, ha affermato che la missione «non venderà armi italiane in Africa».

Sulla Cavour, già distintasi per l’operazione umanitaria ad Haiti nel 2010, sono, infatti, imbarcate anche le aziende dell’Expo 2015, l’Eni, il gruppo Ferretti, tra i primi produttori di yacht, la Federlegno e molti altri ancora assieme alle infermiere crocerossine e al personale di due benemerite ong (Operazione Smile e Fondazione Francesca Rava).  Resta il fatto che il grosso delle imprese che useranno il servizio della Difesa rientrano in quel «cuore oligopolistico mondiale», dove è necessario stare per «far ripartire l’Italia». Di «impresa storica» ha parlato l’ammiraglio De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare: «Un'ambasciata itinerante che coniuga in sinergia le risorse dei ministeri degli Affari esteri e della Difesa, esempio italiano di efficienza, promozione e solidarietà al servizio dello sviluppo e della sicurezza per la prosperità».

I prodotti in mostra
Per avere una idea di questa “ambasciata  itinerante” è opportuno riprendere la cronaca minuziosa compiuta da Federico Cerruti sul sito specialistico Analisi Difesa. Oltre allo storico fornitore di “armi leggere” Beretta, tra i primi al mondo, «sono presenti in toto le aziende del gruppo Finmeccanica con la loro produzione più aggiornata: AgustaWestland (NH90 e AW.101), OTO Melara (sistema d’arma 127/64 LW Vulcano e relativa famiglia di calibri, STRALES evoluzione dei cannoni navali da 76 mm, munizione guidata DART), Selex ES (fornitore e integratore di sistemi radar e di combattimento tra cui i sistemi imbarcati sulle fregate FREMM una delle quali partecipa alla campagna), WASS (siluro pesante Black Shark, siluro leggero A244/S Mod.3, contromisure e sonar), Telespazio (comunicazioni integrate e geoinformazione) e MBDA. Quest’ultima parteciperà alla campagna navale presentando i missili Aspide 2000, Aster 15 e 30, Marte MK2/S e Teseo/Otomat. Saranno presentati anche i sistemi d’arma missilistici che compongono il weapon package dell’Eurofighter come il Marte ER (Extended Range), lo Storm Shadow, il Meteor e il Brimston DM (Dual Mode)».

Il nostro rapporto con l’Africa e i Paesi del Golfo passa dunque inevitabilmente attraverso questo commercio. Non dirlo o accettare mezze verità vuol dire rimuovere la complessità delle scelte del “sistema Italia” che bisogna, invece, affrontare apertamente.  

 Cfr su Jean http://www.cittanuova.it/contenuto.php?TipoContenuto=web&idContenuto=33437

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