Alla luce del sole

Il 15 settembre 1993, la mafia assassinava un prete scomodo, don Pino Puglisi, a Palermo. Roberto Faenza, regista del fortunato Prendimi l’anima, ha evitato la trappola retorica de La piovra e Montalbano, un rischio, dato che protagonista era proprio quel Luca Zingaretti, che a Montalbano deve la sua fama. Zingaretti invece si è rivelato squisito interprete, perfettamente nel ruolo, di un prete coraggioso, discreto, silenzioso; con i suoi dubbi, paure, e la solitudine: un uomo di fede e d’azione, un don Bosco moderno cui la mafia ha tarpato le ali. Faenza infatti ha reso protagonisti assoluti del film i ragazzi del Brancaccio, uno dei quartieri a più alta densità mafiosa. Un’umanità scomposta e bisognosa di redenzione, recitata dal vivo da moderni sciuscià che mai avevano avuto familiarità con la macchina da presa, come in un vecchio film del neorealismo. Sono loro la parte più bella che il film ci regala, una coralità che – fra le tragedie familiari (il suicidio del figlio del boss) e la fede ostinata del prete nella possibilità di riscatto del Brancaccio – suona come una risposta ancor viva al sacrificio di chi ha cercato di separare religione da superstizione, ignoranza da cultura, delitto da onestà. Ben tratteggiate le figure di contorno, come suor Carolina (una riuscita Alessia Goria) e Gregorio (Corrado Fortuna); snella la sceneggiatura dello stesso regista con i collaboratori; efficace il commento musicale di Andrea Guerra. Regia scarna, tesa. Nelle sale dal 21 gennaio.

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