Aiuto sostegno responsabilità

Quando la famiglia si sfascia e i minori devono essere allontanati. Il delicato e insostituibile ruolo di assistenti sociali e tribunali. Intervista a Franca Dente.
Franca Dente

Lo abbiamo detto tante volte: i media sono poco educativi – per usare un eufemismo – specie quando scavano, troppo, nelle pieghe del dolore e della cosiddetta privacy.

È quindi necessario fare scelte che non sempre coincidono con l’audience, il successo, il consenso. In tal senso Città Nuova non è stata sul “pezzo”, come si usa dire, della notizia apparsa nei mesi estivi, luogo Trento, circa l’intervento dei servizi sociali nei confronti di una madre a cui è stata tolta la figlia neonata, a causa di una ipotetica indigenza.

 

I toni degli articoli apparsi sui quotidiani nazionali, seppur commoventi, probabilmente non hanno reso giustizia alla verità e all’interesse di questo nucleo familiare, specie del bambino. Far passare l’idea che la situazione di indigenza possa in qualche modo determinare provvedimenti di sottrazione di un figlio è alquanto grave. Nel mirino, e non è la prima volta, vi è l’operato degli assistenti sociali.

 

Anche un ben noto giornalista e personaggio televisivo è stato condannato dal Tribunale di Roma per aver pubblicamente delegittimato la figura di un professionista del servizio sociale durante un suo show. Ma quelli che, in termini assolutamente dispregiativi, vengono considerati “i cattivi che portano via i bambini” cosa dicono? Lo abbiamo chiesto alla presidente nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, con i suoi 35 mila professionisti iscritti: Franca Dente, pugliese, docente universitario presso l’università Federico II di Napoli è particolarmente attiva e battagliera.

 

Nei media si sente spesso dire che uno strapotere è in mano agli assistenti sociali, mentre i genitori hanno solo un ruolo da comparse. I tribunali sono “ladri di bambini”?

«Mi sembra chiaro che i casi buttati in prima pagina non possono dirci nulla (o molto poco) su come realmente sono state affrontate le situazioni presentate; sarebbe utile smettere di buttare in primo piano storie di minori e famiglie usandoli strumentalmente. A nessun bambino piace sentir parlare della sua storia in pubblico. I fatti raccontati sono solo una piccola parte della verità, verità che non può mai essere raccontata nella sua completezza per motivi di deontologia professionale e segretezza. Deve essere chiaro che i professionisti sociali e la magistratura si muovono nel prioritario interesse del minore. Certe informazioni incidono pesantemente sul rapporto tra famiglie in difficoltà e servizi chiamati ad intervenire in loro aiuto».

 

Un’altra accusa è che i bambini “allontanati” sono spesso figli di famiglie povere, anche se l’art. 1 della legge 149/01 dice che le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia…

«Infatti la sola condizione di povertà non è sufficiente per determinare un provvedimento di allontanamento, devono anche essere compromesse le capacità genitoriali, non consentendo al minore un equilibrato sviluppo psico-fisico-sociale. Oltre alla legge 149/01 va ricordata la Convenzione sui diritti del fanciullo dell’Onu, che sancisce il diritto del minore alla vita e allo sviluppo nell’ambito della propria famiglia, prevedendo la possibilità di separazione in situazioni particolari, per esempio quando i genitori maltrattano o trascurano il bambino, o quando vi è comunque una situazione di pregiudizio grave. La funzione principale dei servizi sociali e socio sanitari pubblici, della magistratura e delle professioni di aiuto è quella di aiutare e sostenere le famiglie. L’allontanamento del minore dalla famiglia è solo l’estrema ratio, un provvedimento sicuramente doloroso».

 

È pur vero che porsi davanti al rapporto genitori/figli presuppone un equilibrio, una sensibilità e una professionalità non indifferenti.

«La responsabilità degli assistenti sociali è molto alta e richiede una competenza che va costantemente curata e aggiornata. La tutela del minore è l’aspetto più delicato e le situazioni familiari sono spesso complesse e cariche di tensioni. Questo richiederebbe dei servizi dedicati, competenti, affidabili nella continuità e professionalità. Oggi non è così: viviamo in continua emergenza, in condizioni di precarietà e con carichi di lavoro insostenibili. Ciò non giustifica eventuali errori che gli assistenti sociali, primi e forse unici, pagano comunque sia sul piano disciplinare che giudiziario. Ma faccio notare che l’assalto dei media su questi temi di fatto ha prodotto in primo luogo un allontanamento della famiglia dai servizi che possono intervenire in loro aiuto e in secondo luogo ha tolto, in alcuni casi, il coraggio agli assistenti sociali di denunciare le situazioni a rischio».

 

Una volta si diceva: gli assistenti sociali sono “agenti di cambiamento”, ponti tra il disagio e la comunità. Oggi possiamo riaffermare questo?

«Gli assistenti sociali ancora oggi sono tutori dei diritti sociali e dei diritti di cittadinanza, promotori del cambiamento e dello sviluppo della persona e della comunità. La professione non ha cambiato i suoi valori fondanti, il rischio che vedo è che la formazione universitaria, sia di base che magistrale, non riesca spesso a dare quella formazione necessaria a costruire competenze e abilità. Le università devono ancora maturare la consapevolezza della peculiarità della formazione di questo professionista che lavora con le persone e per le persone, e delle molteplici responsabilità su cui è chiamato ad intervenire».

 

Nella famiglia nascono e si risolvono tanti problemi socio-economici, ma la crisi è forte. Non è il caso di investire di più nell’affiancare, aiutare o recuperare una famiglia con figli?

«Le politiche familiari sono passate da una logica ispirata ad una visione della famiglia come destinataria di interventi, principalmente mirati ai bisogni dei suoi singoli componenti, a quella della famiglia come risorsa in quanto primo ambito di applicazione del principio di sussidiarietà; realtà da valorizzare e sostenere. Oggi, nell’ambito delle politiche sociali, si rende evidente quindi il bisogno di sostenere in maniera energica la funzione della famiglia, per non aumentarne la fragilità e ridurne la capacità di essere risorsa/capitale sociale per la tenuta della cosiddetta società civile. L’aumento delle separazioni di coppie con minori spesso rende visibili scenari dove il passaggio dalla solitudine alla conflittualità sembra essere diventato un passaggio obbligato. Spesso la gestione del “progetto della vita del minore” viene alla fine demandata al giudice minorile, tutelare o ordinario che sia. Così che l’esecuzione di un decreto di allontanamento risulta l’unica dolorosa via possibile, che avrà tuttavia pesanti ricadute».

 

Comprendendo le difficoltà e la pressione che generano emergenza, quanto vale in questo prezioso e difficile “mestiere” la responsabilità?

«È la parola che dovrebbe guidarci e che investe costantemente e pienamente l’assistente sociale nel suo agire quotidiano. La responsabilità è il modo di essere di chi è consapevole delle aspettative sociali legate al proprio ruolo o compito e delle conseguenze derivanti dal proprio comportamento, e assume di conseguenza i compiti derivanti. Responsabilità presuppone l’altro, significa rispondere a qualcuno, ma significa anche rispondere di qualcuno; significa accogliere, ascoltare, dare fiducia e fidarsi, curare e prendersi cura, rendere conto e rendersi conto di sé e delle proprie azioni in una dimensione che è sempre contemporaneamente personale, sociale, professionale e civile».

 


 

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