A proposito di Cuffaro…

Per una giustizia davvero tale e una maggiore coesione nazionale serve il contributo di ciascuno. A cominciare dall’ascolto. Pubblichiamo un commento all’articolo Condannato per mafia e rispettoso delle istituzioni di Roberto Mazzarella e la risposta dell’autore
cuffaro

«Condannato per mafia e rispettoso delle istituzioni è il titolo dell’articolo di Roberto Mazzarella pubblicato il 24 gennaio. Non conosco l’autore del pezzo e presumo che sia animato dai valori di cui parla. Ma non nascondo imbarazzo e delusione nel suo giro di parole per rendere in definitiva omaggio all’uomo Cuffaro. Certo, per chi presume di fare un cammino cristiano è necessario sempre lasciare uno spazio all’azione dello Spirito Santo, ma nel contesto in cui si trova oggi l’Italia e con un giornale come Città nuova che fa opinione in un ambito cristiano, insinuare l’idea che in fondo ci troviamo di fronte ad un uomo per il quale vale la pena sottolineare l’esempio morale di sottomettersi alla legge, mi sembra emerga un gioco di equilibrismo non molto trasparente.

 

Il Cristo ha perdonato e poi ha detto va e non fare più questo. Questa è gente che ha continuato per anni a fare quello per cui è stata condannata, senza mai pensare un solo istante a cambiare strada. Ora, non escludo che quando si avvicina il patibolo, l’uomo sia in condizioni di poter fare un salto qualitativo interiore e chiedere perdono e trovarsi così con il Cristo nel Regno dei Cieli, ma quando si fa giornalismo bisogna farlo con  interezza dei dettagli e soprattutto basandosi sui fatti. Da tre giorni, Cuffaro ha raggiunto i 70 mila detenuti stipati nelle nostre patrie galere. Di questi che si sottomettono alla legge perché non si sottolinea l’alto profilo morale, nonostante le malefatte?

 

Sette anni in Cassazione per favoreggiamento mafioso non è poca cosa e a meno di coprirsi di ridicolo, mi sembrerebbe più opportuno lasciar perdere una qualunque dimensione morale di un uomo che ha distribuito cannoli, a mo’ di festeggiamento, solo per avere avuto cinque anni nella sentenza d’Appello. Ora siccome si tratta di mafia, non c’è indulto che tenga, Cuffaro farà il carcere com’è giusto che sia. Forse di meno, visto che grazie alla “liberazione anticipata” prevista dalla legge penitenziaria, si ridurranno e resterà dentro due anni e tre mesi. Poi potrà chiedere di uscire per scontare gli ultimi tre anni con i servizi sociali, come un cittadino qualsiasi. Ma caro Mazzarella, se lei stesso ha scritto libri sulla questione morale in Sicilia e sulla necessità di una rigenerazione della classe politica, profondamente mafiosa nella testa (questo lo aggiungo io), perché lanciarsi in questa sorta di celebrazione di un uomo che con i tempi che corrono è tutto tranne che un esempio da seguire? Mi si dirà “Che ne sai tu?”. Ma c’è una sentenza della Cassazione che me lo dice. Mi basta. Poi se lei vuole andarlo a trovare in carcere e seguirlo in un percorso redentivo che gli auguro diventi magari esemplare, questo è semplicemente legittimo ed è da lodare. Ma questa immediatezza, a qualche giorno della condanna, nel sollevare il seppur minimo dubbio, mi sembra fuori luogo ed errato nella scelta dei tempi di pubblicazione (non me ne voglia per questo l’illustre Direttore).

 

Lei, signor Mazzarella, sa bene che Totò Cuffaro, il  Vasa Vasa nazionale, non è un cittadino come gli altri e che l’idea che un politico finisca dentro come tutti i condannati è fuori dal mondo (anzi, dall’Italia). Perché all’estero, dove vivo, le carceri pullulano di politici piccoli e grandi condannati anche per reati molto meno gravi di quelli di Cuffaro.

 

Dopo aver chiesto alla giustizia di fare il suo lavoro, adesso si sprecano i complimenti anche da parte di insospettabili come Rita Borsellino ed Enzo Bianco, per l’atteggiamento morale e la  maniera squisita con cui si è consegnato alla giustizia, anziché fuggire ad Hammamet o insultare i giudici. Gentilmente, signor Mazzarella, mi dica dov’è il merito in tutto ciò? Lo sa che sono centinaia ogni giorno i criminali che entrano in galera senza fiatare? Forse perché è un senatore della Repubblica che comportandosi come un detenuto normale merita l’encomio solenne? Tanto di coppola è il caso di dire. Con un articolo come il suo, ma non è il solo, magari senza volerlo nel suo caso (e non per altri) si afferma che i politici non sono uguali agli altri cittadini. Abbiamo addirittura dovuto ascoltare politici come Cicchitto e Quagliariello che hanno elogiato Cuffaro “per la scelta compiuta”. Da ridere. Ma quale scelta? Guardi che Cuffaro non ha mica fatto un favore ai giudici consegnandosi a Rebibbia! O forse per la Casta non valgono le regole normali, nemmeno quelle della logica? Adesso che la persona onesta è ufficialmente un favoreggiatore della mafia, non  possiamo cavarcela dicendoci “umanamente dispiaciuti per la condanna”, come ha fatto Casini che peraltro ha aggiunto in un comunicato congiunto con Follini del Pd: “Non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso”. Salvo dimenticare quanto ha detto due anni fa, che in caso di condanna di Cuffaro in Cassazione ne avrebbe assunto le conseguenze politiche. Ma forse Casini ha deciso di abbandonare la politica e di diventare giudice».
Cordialmente
Rocco Femia

 

 

Caro signor Femia,

Trovo naturale scrivere, come parlare. È un modo di esprimere le proprie opinioni che naturalmente hanno il “pregio” di essere parziali. Sì, il pregio di essere parziali, perché così ci costringono a metterci all’ascolto l’uno dell’altro per raggiungere un punto di vista più globale e forse più completo. Così come stiamo facendo lei ed io. Il rispetto per le sue opinioni é naturalmente ovvio, come quello suo nei miei confronti. E allora ne approfitto per condividere con lei, e grazie a lei, meglio il concetto che ho voluto esprimere nel mio articolo sulla condanna di Salvatore Cuffaro.

 

L’obiettivo dell’articolo non era certamente quello di “rendere omaggio all’uomo Cuffaro”. Non avrei potuto farlo, perché vivo e lavoro a Palermo. I miei articoli vengono letti da tanti, ma anche dai miei concittadini… insomma non potrei  scrivere con “giri di parole”. Palermo é città strana! Nel bene e nel male bisogna essere radicali! Gli amici e gli avversari non fanno sconti. Meno che mai se vuoi parlare e scrivere di mafia. D’altra parte, signor Femia, mica me lo ha lasciato scritto mio padre nel suo testamento!

 

Perché ho scritto l’articolo? Proprio per raccontare, ai non palermitani, cosa stava accadendo, altro che “per rendere omaggio”… Nell’articolo, infatti – se lo ricorderà sicuramente – parlo di “sicilitudine” che fa il paio con la “insularità d’animo” di cui noi siciliani e meridionali siamo malati. Nel mio ultimo libro, edito proprio da Città Nuova, L’uomo d’onore non paga il pizzo, parlo, a pag. 32, della “terrificante insularità d’animo”, di cui si nutre la mafia. In quelle pagine riporto una mia intervista “a cuore aperto” con il giudice Paolo Borsellino che toccava diversi aspetti, ma sopratutto il tema dei pentiti.

 

Siamo nel 1986 ed era un periodo in cui non erano ben visti i pentiti: criminali verso i quali non potevamo avere pietà… Borsellino, e in quelle pagine del libro riporto ampi stralci dell’intervista, mi raccontava di killer che si erano macchiati di decine e decine di delitti fra i più orrendi e che però, a contatto con un “giudice gentiluomo”, mostravano desiderio di riscatto sincero.

 

Perché le dico questo? Perché in questi anni ho lottato contro la “terrificante insularità d’animo”, cercando di individuare – non sempre facilmente – i semi del nuovo perché possibili antidoti. “Cuffaro é il terminale di un potere esercitato con tutti i mezzi – riporto questo brano del mio articolo del 24 gennaio – dove, e questo é il tema (…) ha dato ossigeno ad un sistema politico clientelare che ha degradato la Sicilia ogni oltre misura, ma ha provocato, non lo dobbiamo dimenticare, il sacrificio di tantissimi servitori dello Stato che si sono voluti opporre”.

 

Naturalmente sono disponibile ad ulteriori confronti e contraddittori, nella certezza che la partita che oggi  dobbiamo giocare contro tutte le mafie e le zone grigie (anche intellettuali e talvolta in buona fede) che favoriscono le mafie, é quella di voler sinceramente “fare sintesi” delle diverse sensibilità presenti nella società civile.

 

Le posso garantire da parte mia, e per la mia esperienza di questi anni, che il fatto di voler  vivere un’ideale cosi alto come quello del mondo unito che, ad esempio, mi suggerisce il continuo rispetto per l’uomo, per qualunque uomo, non ha mai, e ripeto mai, fatto venire meno la netta condanna ed il vigore della denunzia, la coerenza e la radicalità dell’impegno anche personale contro il malaffare. La serenità non é incompatibile con l’impegno, anche crudo, per una nuova società. Anzi ne é un acceleratore.

Roberto Mazzarella

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons