Le architetture disegnano la spazio in cui viviamo: vale per gli edifici come per le istituzioni.
A Torino si trova una costruzione singolare, il Palazzo Carignano, che ben rappresenta il percorso compiuto dalle istituzioni democratiche. È il palazzo principesco con gli appartamenti dove sono nati Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, ma contiene, dopo le necessarie modifiche, l’aula del primo Parlamento del Regno di Sardegna.
Questa riorganizzazione degli spazi ben rappresenta la mutazione istituzionale, il percorso di trasformazione dal potere assoluto verso forme democratiche, e allo stesso tempo mostra plasticamente l’ambiguità in cui nasce il costituzionalismo italiano: il monarca concede la rappresentanza parlamentare, ma mantiene alcune prerogative essenziali tra le quali la nomina del capo del governo, dei ministri e dei giudici.
È il 1848, anno di forti turbolenze e insurrezioni nell’intero continente europeo. La restaurazione del Congresso di Vienna, con il tentativo di consolidare le famiglie regnanti, fa i conti con una forte domanda di cambiamento: più libertà e rappresentanza da parte delle élite liberali, più giustizia sociale da parte dei ceti meno abbienti sovrastati da fame e miseria.
In questo contesto l’8 marzo 1848 Carlo Alberto, dopo essersi inizialmente opposto, concede lo Statuto Albertino, la carta costituzionale che accompagnerà il nostro Paese fino al 1948 e che condizionerà e orienterà anche la Costituzione Italiana attuale.
Lo Statuto delinea le istituzioni e definisce le loro procedure di gestione: vengono così strutturati i due rami del Parlamento, il Senato costituito da membri nominati a vita dal sovrano e la Camera dei Deputati, eletti dal popolo. A garanzia del re, le leggi devono essere approvate da entrambi i rami del Parlamento (il così detto “bicameralismo perfetto”) nonché dallo stesso sovrano.
Il governo nasce dalla nomina iniziale del re del capo del Governo, che verifica in Parlamento l’esistenza di una maggioranza. Capo del governo e ministri rispondono comunque in ultima istanza al re.
Con la nascita del Parlamento si pone il problema della legge elettorale. Carlo Alberto con proprio decreto del 19 marzo 1848 adotta il sistema elettorale “alla francese” con maggioritario a doppio turno ed elezione in circoscrizioni ristrette (i collegi elettorali).
In questo disegno istituzionale si possono ritrovare diverse caratteristiche della Costituzione Italiana del 1948, con effetti che arrivano fino ai nostri giorni: se nel suo impianto ha portato allo sviluppo democratico del Paese, per alcuni aspetti particolari e problematici ha alimentato il bisogno di riforme.
Il bicameralismo perfetto, per sua natura, rallenta l’approvazione e la deliberazione, ponendo problemi di efficienza nella produzione legislativa. Il sistema elettorale, specialmente per la parte che riguarda i collegi elettorali, ha generato inizialmente una situazione favorevole a notabili influenti andando poi a sviluppare ulteriori patologie quali il localismo e la debolezza dei partiti.
Come sperimentato anche in tempi recenti, questo assetto favorisce anche la nascita di piccole formazioni personali, pronte a negoziare il proprio consenso in cambio di favori e prebende da spendere sul proprio collegio. Lo stesso vale anche per i candidati forti (acchiappa voti) nei grandi partiti.
Il tema dell’esecutivo è più che mai di stringente attualità nel dibattito sul Premierato oggi molto acceso, la cui adozione implicherebbe il ridisegno complessivo delle attuali istituzioni: cambierebbe il ruolo del presidente della Repubblica come pure la relazione fra premier e Parlamento; i partiti ne uscirebbero fortemente ridimensionati in relazione al contributo e all’impatto sulle decisioni di governo… il tutto in cambio di una probabile maggiore efficienza ed efficacia dell’azione di governo. Ammesso che la riforma passi, potrebbe funzionare? Come ne uscirebbe la democrazia?
La grande lezione dello Statuto Albertino, e delle successive costituzioni, è che il disegno delle istituzioni e lo sviluppo della democrazia utilizza il materiale disponibile, imparando dalle diverse esperienze anche quelle più tragiche.
Lo Statuto Albertino, nella sua leggerezza – era modificabile con leggi ordinarie – e incompletezza, ha involontariamente e paradossalmente facilitato l’avvento di un regime antidemocratico nel ventennio del secolo scorso, per quanto all’epoca della sua adozione rappresentasse l’avamposto democratico più avanzato del vecchio continente.
La Costituzione attuale ha cercato di imparare la dura lezione, ma inevitabilmente eredita anche dei nodi problematici ancora sul tappeto, probabilmente perché le carte costituzionali e le architetture istituzionali da loro generate costituiscono uno strumento, e sono una condizione necessaria ma non sufficiente per l’esercizio effettivo ed efficace della democrazia.
Servono attori, i cittadini ed i loro rappresentanti, che se ne prendano cura, in un lavoro paziente di manutenzione e miglioramento continuo. Nella stessa misura con cui ci si prende cura delle proprie abitazioni, perché in fondo le istituzioni sono gli spazi della democrazia.
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