Un viaggio sempre possibile tra sacro e profano

L’arte sonda i confini pericolosi ma affascinanti tra quel che rimanda all’Aldilà e quel che è competenza dell’Aldiquà. L’opera di Ezio Bartocci e della sua mostra “Visionario”

Mi aveva interpellato la grafica di un’opera, che si annuncia alquanto lunga e a suo modo grandiosa, il Dizionario di ontologia trinitaria, che sta uscendo regolarmente per i tipi dell’editrice Città Nuova: fuori dagli stilemi dell’editoria tradizionale, soprattutto dell’iconografia teologica, quelle copertine stimolano la comprensione di un’avventura teologico-esistenziale qual è l’ontologia trinitaria “animata” da Piero Coda, già primo preside dell’Istituto universitario Sophia, e attualmente segretario generale della Commissione teologica vaticana. Appunto, un’avventura di teologi e filosofi in dialogo, che si spinge dalla materialità alla spiritualità, dalle cose del Cielo alle cose della Terra, senza volersene appropriare, né per le questioni d’ici-bas, né tantomeno per le questioni di là-haut. Ezio Bartocci, che ha firmato il logo del Dizionario e le sue raffinate copertine, ha saputo rappresentare il confine sempre mutante della ricerca di una conciliazione tra sacro e profano.

L’artista Ezio Bartocci.

È in corso, ora, una mostra antologica, se così si può dire, della produzione di Ezio Bartocci, artista, pittore, grafico e collezionista, incastonata in tre spazi suggestivi e inusuali, promossa dall’Assessorato alla cultura del Comune di Serra de’ Conti, nell’entroterra marchigiano. Tra questi, il Museo delle Arti Monastiche dal titolo “Le stanze del tempo sospeso”, realizzato anni fa con un sapiente allestimento dell’architetto Schiavoni. In questo luogo suggestivo, Bartocci, artista eclettico, formatosi alla bellezza sin dalla più tenera infanzia, perché aveva uno zio pittore che faceva per lui figura quasi mitologica  (i colori, le tecniche della pittura, le visioni materializzate sono state per lui un viatico alla sua produzione artistica), espone varie opere, che continuano a caratterizzare la sua arte, facendole dialogare con la storia secolare di questo luogo.

Eclettico Bartocci lo è, spaziando tra forme artistiche non solo figurative, non solo legate ai classicismi della pittura e della scrittura, ma creando forme grafiche ardite e classiche allo stesso tempo, non disdegnando di “mescolarsi” all’esistente, ai musei e ai palazzi che contengono vestigia dei secoli passati. Come ben esprime Bonita Cleri in apertura all’elegante catalogo, la mostra «ci restituisce una lettura univoca laddove l’arte dialoga su due livelli: il legame con la storia della città che ha lasciato i segni di una socialità religiosa fatta di rapporti con un sacro che convive con le necessità del quotidiano laddove l’invocazione e il legame con un santo o una devozione sanno rispondere alle richieste, su tutto questo si innesta l’interazione di opere d’arte contemporanea. Un connubio tale da permettere la rilettura di immagini antiche dialoganti con il presente: gli interventi di Bartocci scivolano con leggerezza all’interno delle strutture monumentali collegando le sue opere con antichi apparati decorativi».

Tra le tante belle e significative opere esposte, che hanno scandito la sua produzione, tra sacro e profano, nel corso della sua infaticabile attività pittorica, e che vanno a comporre un catalogo di raffinata resa grafica, una in particolare colpisce la mia immaginazione di viaggiatore: Di paesaggio, tecnica mista su carta geografica, 2018. Vi ritrovo infatti la passione della geografia e della curiosità del nuovo, del sempre nuovo, e allo stesso tempo la complessità dell’esistenza itinerante nei meandri della mente e della vita sociale. Con l’apertura su un mare che è anche cielo fantasioso, e con il radicamento in una terra che ospita le nostre miserie, l’invischiarsi dell’umanità nella sub-umanità, senza negare le aspirazioni al bello, al buono, al vero.

Perché spingersi fino a Serra de’ Conti per visionare la mostra di Ezio Bartocci, che resterà aperta fino al 26 maggio? Ancora prendendo a prestito le parole conclusive del bel saggio esplicativo di Bonita Cleri: «La visita alla mostra delle opere di Ezio Bartocci a Serra de’ Conti rappresenta un’esperienza immersiva in grado di suscitare tante e differenti emozioni, in essa dimostra di sapere trattare il sacro con ironia ed allo stesso tempo rispetto, conferendogli una dimensione alta soprattutto per essere collegato alla complessità del quotidiano».

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