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Cultura > Filosofia politica

I partiti e la mutazione genetica di destra e sinistra

di Giampietro Parolin

- Fonte: Città Nuova

Il dibattito in Italia sulle vecchie, nuove e quasi-ideologie che determinano la cultura e le scelte delle formazioni politiche

Ideologia

Su cittanuova.it abbiamo recentemente affrontato il tema della confusa geografia politica e di come le forze in campo, nella recente campagna elettorale, abbiamo proposto alcune ricette storicamente ascrivibili ai campi avversi, ovvero forze di destra con proposte di sinistra e viceversa. L’uscita di due lavori, rispettivamente del politologo Carlo Galli Ideologia (Il Mulino) e del sociologo Luca Ricolfi La mutazione (Rizzoli), ci aiuta a chiarire le ragioni che hanno portato all’attuale paesaggio politico, consentendoci, come in un piano cartesiano, di mettere in relazione la struttura delle idee – l’ideologia – con i partiti politici.

Una comune narrazione ci presenta un mondo in cui le ideologie, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, sarebbero tramontate per lasciare posto ad altri criteri di scelta politica. L’avvento di partiti come Forza Italia, la Lega o più recentemente il Movimento 5 Stelle, l’abbandono del riferimento al marxismo della più grande forza di sinistra con la svolta della Bolognina, sembrerebbero confermare la scomparsa di apparati ideologici dietro alle offerte politiche. Ma è proprio così?

Carlo Galli, che è stato docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna e parlamentare, sostiene che le ideologie sono tutt’altro che morte. Certo fascismo e comunismo sono alle spalle, per quanto qualche rigurgito o residuo del passato possano permanere, mentre altre forme ideologiche sono apparse a partire dal neoliberismo che, travalicando l’ambito strettamente economico, è “dilagato come senso comune, come macchina mitologica complessiva” per usare le parole dello studioso modenese.

Il neoliberismo si è manifestato come un’ideologia senza partito che ha permeato tutta la geografia politica creando le premesse antropologiche – la mentalità individualista – che stanno alla base delle nuove ideologie: populismo, sovranismo, complottismo. Naturalmente questi sono contenitori che a loro volta si articolano in declinazioni abbastanza diverse fra loro, che mischiano elementi di critica con proposte, modalità violente (es. gilets jaunes) e impegno civico.

Accanto ai tre grandi filoni ideologici sopra menzionati sono comparse forme quasi-ideologiche, o micro ideologiche, come il caso del “politicamente corretto” e le sue declinazioni da Black Lives Matters (questioni razziali) a Me Too (femminismo), fino a Occupy Wall Street (critica alla finanza), senza dimenticare Fridays for Future (crisi climatica).

Sullo sfondo rimane la grande domanda: cos’è l’ideologia? Sulla scia di Galli potremmo dire in prima battuta che è una “maschera del potere”. Ma dietro questa semplificazione dobbiamo riconoscere il carattere storico e contradditorio del concetto.

Ideologia è un concetto moderno – un prodotto della modernità –, un tentativo di dare ordine alla perdita di ordine, quindi alla crisi. Non a caso Galli usa l’esempio estremo del nefasto “ministero per l’illuminazione del popolo e la propaganda”, retto da Goebbels prima della seconda guerra mondiale, per definire l’ideologia come combinazione di illuminazione, propaganda e cultura.

Siamo cioè di fronte ad «un intreccio di sapere e potere che vuole mobilitare, intellettualmente ed emotivamente, le masse popolari o loro parti» – citando il politologo. Parole e passioni – paura, speranza, risentimento, inclusione o esclusione – che si combinano con l’apparato di idee.

È facile intuire come l’ideologia è una visione del mondo di parte che si vuole fare tutto ed è questa la ragione principale per cui se non ne siamo consapevoli rischiamo di trasformarla (in fondo siamo tutti poco o tanto ideologici) in un pregiudizio che ci impedisce di comprendere e rispettare altre visioni del mondo a cui non aderiamo. Ed è su questa nostra debolezza cognitiva che tanta politica, a destra come a sinistra, costruisce le proprie fortune elettorali alimentando una polarizzazione sociale non sempre positiva. Ne è sintomo paradossale l’accusa reciproca fra le parti di essere antidemocratici!

Chiarita la dimensione ideologica, essa stessa parziale (!) frutto del punto di vista di Galli, ci addentriamo sull’altra dimensione, quella della nuova rappresentanza politica attraverso il lavoro di Ricolfi.

Molti temi presentati da Galli vengono ripresi dal sociologo torinese che tuttavia si concentra di più sugli effetti della “trasfigurazione ideologica” sui partiti politici, ovvero su come le formazioni di destra e sinistra storiche abbiano cambiato negli ultimi decenni il loro DNA.

Secondo Ricolfi la sinistra ha perso tre cromosomi fondamentali: la difesa dei più deboli, la libertà di espressione e il raggiungimento dell’uguaglianza attraverso la crescita culturale. Mentre la destra ha acquisito i primi due, trovandosi di fatto – per dirla in modo economico – ad avere un vantaggio competitivo nel mercato elettorale.

Tre sono le direttrici che hanno portato alla modificazione genetica secondo l’accademico piemontese.

La prima riguarda lo scambio di basi elettorali. Questo avviene in un Paese come l’Italia ma anche oltre oceano dove la sinistra ufficiale smette di occuparsi di diritti sociali, ovvero delle fasce più deboli, per concentrarsi sui diritti civili.

In Italia poi ci sono condizioni uniche nel contesto dei Paesi occidentali: una grande economia sommersa, un peso molto rilevante dei lavoratori autonomi, il persistente divario territoriale fra nord e sud ed un esercito di lavoratori sfruttati ai limiti della schiavitù. Questo assetto ha generato una doppia faglia fra inclusi ed esclusi e fra inclusi garantiti e non garantiti. L’esito finale è la strutturazione di tre gruppi sociali cui di fatto – analizzando i risultati elettorali – corrispondono tre bacini elettorali.

E così il Movimento 5 Stelle finisce per rappresentare la maggior parte degli esclusi, la destra gli inclusi non garantiti e la sinistra gli inclusi garantiti. Un’analoga articolazione si osserva fra i ceti urbani e quelli periferici dove più forte è la presenza di perdenti nella grande ondata della globalizzazione. Insomma si può parlare di un voto di classe rovesciato, se usiamo le categorie storiche di destra e sinistra.

La seconda direttrice di mutazione riguarda la libertà di espressione con una sinistra che, sposando l’ideologia del “politicamente corretto”, diventa censoria.

La terza direttrice tocca l’uguaglianza, quella che secondo Bobbio è il vero marchio di fabbrica della sinistra. Qui la storia dell’uguaglianza si intreccia con le scelte educative e culturali. È noto che l’uguaglianza delle condizioni di partenza si raggiunge offrendo a tutti – anche ai privi di mezzi – la formazione culturale. Cosa succede se, dopo le battaglie del comunista Marchesi negli ’60 perché venga insegnato il latino a tutti, si va a strutturare un sistema educativo che si adatta (spesso al ribasso) a diversi livelli?

Il risultato è scontato, come mostrano i dati. Una scuola di qualità riduce le distanze sociali mentre una scuola di bassa qualità conferma gli assetti esistenti. Se a questo si aggiunge l’ideologia (ancora lei!) del merito la frittata è servita.

Ricolfi sintetizza la cifra dei cambiamenti con un diverso rapporto con il “progresso” di destra e sinistra. Quest’ultima ha una fiducia illuministica nelle sorti del progresso considerato nelle pur contraddittorie conquiste del capitalismo. Mentre la destra, al di là della naturale inclinazione alla conservazione, ha maturato una visione più critica del capitalismo, mettendo alcuni freni ad una locomotiva che rischia di andare a sbattere, in questo condividendo il proprio giudizio con la sinistra anticapitalista (à la Latouche per intendersi).

Appare abbastanza evidente, dopo la lettura dei libri di Galli e Ricolfi che le vecchie categorie di destra e sinistra sono del tutto incapaci di descrivere il paesaggio politico: nuovi colori e nuove rappresentazioni sono comparsi ad esprimere un cambio d’epoca che non può essere compreso con categorie superate dalla storia, ma molte domande politiche, di giustizia sociale in primis, rimangono inevase.

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