Indignarsi non basta, se la coscienza non muove all’azione concreta e politica. Il governo britannico ha fatto sapere di aver promosso un appello definito “ultimativo” di 28 Paesi occidentali, con l’eccezione degli Usa e della Germania del cancelliere Merz, rivolto al governo israeliano per fermare la violenza della guerra a Gaza.
Londra conosce bene la questione moderna israelo palestinese, dato che ne è all’origine con le scelte fatte durante la fase del protettorato britannico in quell’area sottratta all’impero ottomano.
L’unica strada realmente efficace per incidere sulle scelte di Tel Aviv è quella di carattere economico commerciale collegata alla commissione di crimini di guerra, ma l’Unione europea ha scelto recentemente di non sospendere l’Accordo di associazione economica che la lega ad Israele così come chiesto dalla stessa Alta rappresentante per la politica estera della Ue Kaja Kallas. Le immagini provenienti da Gaza “sono inaccettabili”, ha detto su X anche la presidente della Commissione europea von der Leyen chiedendo al governo israeliano di non impedire l’arrivo di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Ma il nodo centrale resta la questione del transito di altro materiale, quello collegato ai crimini in atto sui territori occupati palestinesi.
«Bisogna deporre le armi e fermare il commercio che c’è dietro ogni guerra», è il messaggio esplicito rilanciato da papa Leone XIV tornando in Vaticano dopo i giorni passati a Castel Gandolfo dove domenica 20 luglio, durante l’Angelus, ha esplicitamente citato l’esercito israeliano come autore dell’attacco alla parrocchia cattolica di Gaza che ha provocato 3 morti e diversi feriti. Il papa ha ricordato il nome di ognuna delle persone decedute indicando il metodo di non fermarsi alla tendenza di coprire la tragedia in corso dietro i numeri delle vittime senza volto e senza storia. Allo stesso tempo ha esplicitamente fatto appello alla comunità internazionale perché si osservi «il diritto umanitario» e «l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione».
L’attore principale e determinante sulla scena internazionale è Washington, che non ha mai smesso di fornire armi ad Israele. Come fa notare Lucio Brunelli, già direttore di Tv2000, «il presidente americano Donald Trump non ha mai pronunciato una sola parola pubblica di biasimo per le stragi di civili innocenti provocate dai bombardamenti israeliani ogni giorno, da 21 mesi, nella Striscia di Gaza. Ventimila bambini uccisi e mai un sussulto pubblico di indignazione e condanna. Anzi, Netanyahu è stato sempre accolto come un grande amico alla Casa Bianca e ha ricambiato le cortesie candidando Trump al Nobel per la pace».
La giusta prudenza vaticana verso Israele, dettata dalla necessità di non assecondare ogni nefasto istinto antisemita sempre ricorrente nella società e di proteggere l’esistenza delle comunità cristiane sempre più ridotte in Terra Santa, non può condurre al silenzio davanti alla stragi e non ha impedito al cardinale di Siena, Paolo Lojudice, di rilasciare a La Stampa di Torino una lunga intervista parlando il linguaggio chiaro dell’ex parroco romano di Tor Bella Monaca, al ritorno dopo una visita in Medio Oriente con una delegazione di vescovi.
«La strage degli innocenti grida vendetta al cielo. Non ci si può più tirare indietro dal denunciarlo» ha detto Lojudice affermando che Netanyahu «non si ferma perché è un tiranno che persegue un cupo e sanguinario disegno di potere. A parte Donald Trump, a cui interessa solo vendere armi, nessuno accetta più le sue auto-legittimazioni». Il cardinale afferma che esiste una società israeliana e un mondo ebraico che si oppone a tale logica, ma «in Israele sono ora al comando settori integralisti che uniscono il fondamentalismo a politiche di estrema destra, alla folle ricerca del potere assoluto. Il diritto della forza umilia la forza del diritto. Per colpa di scelte dissennate commettono le stesse atrocità compiute su di loro. Se non si ferma il tiranno non se ne esce. La vita ha perso qualunque valore rispetto al tornaconto economico dell’industria di morte e alla ricchezza usata come sopraffazione».
La questione della “industria di morte” non riguarda solo una condanna morale, ma diventa molto seria nel campo della responsabilità giuridica internazionale che investe i Paesi che continuano a fornire sostegno militare e logistico a chi commette crimini di guerra. È quanto ha affermato Triestino Mariniello, professore di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, durante la conferenza stampa alla Camera promossa da Altreconomia per denunciare il coinvolgimento di alcune imprese italiane nella filiera collegata al disastro umanitario in atto a Gaza per l’invio di materiali legati a licenze di esportazione precedenti il 7 ottobre 2023.
Marinello fa parte della squadra di avvocati che sta seguendo il procedimento della Corte penale internazionale che ha spiccato mandati di cattura per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza dal capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu e dai capi di Hamas nella Striscia di Gaza.
La Cpi, come noto, sta indagando per accertare la commissione di eventuali crimini di genocidio in atto in tale contesto sempre più tragico. La configurazione di tale gravissimo reato comporta una diretta responsabilità non solo in capo agli autori, ma anche l’obbligo inderogabile del diritto internazionale di «prevenire il genocidio, sancito dall’articolo 1 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948».
«La continuazione dell’esportazione di armi da guerra, componenti per armamenti pesanti, munizioni, sostanze ad alto potenziale esplosivo come il nitrato di ammonio, cordoni detonanti ed isotopi radioattivi, verso Israele da parte dell’Italia costituisce – secondo il giurista Triestino Marinello – una violazione manifesta dell’obbligo di prevenzione del genocidio», configurando una responsabilità penale non solo dei decisori politici ma anche dei funzionari pubblici e dirigenti di aziende.
L’unica strada per impedire tale coinvolgimento da parte di qualsiasi Paese consiste nella «imposizione di un embargo sugli armamenti, ma anche l’interruzione delle esportazioni dual use, la sospensione di accordi logistici o formativi con l’esercito israeliano e l’avvio di una revisione sistemica delle licenze in essere».
L’ultimo rapporto della relatrice speciale dell’Onu sui territori palestinesi, come è noto, ha fatto emergere le responsabilità dei soggetti economici internazionali nell’eccidio in corso a Gaza, scatenando, come prevedibile, una campagna mediatica di screditamento contro Francesca Albanese, che parte dell’opinione pubblica indica, invece, come meritevole del Nobel per la Pace.
È ovvio ma occorre ripeterlo che l’embargo delle armi deve valere verso tutti i Paesi e le fazioni coinvolte in crimini di guerra. È impensabile ogni silenzio e tolleranza verso l’azione terrorista di Hamas e il lancio di missili da parte dell’Iran e dei suoi alleati, che non coinvolgono direttamente, salvo triangolazioni, fornitori di armi occidentali.
In questo senso la posizione della Chiesa rappresenta una visione di ragionevolezza umana di carattere universale. E la chiarezza di Leone XIV smentisce tutti coloro che hanno salutato la sua elezione come una correzione del “ciclone Francesco”.
Rientra in questa testimonianza di vicinanza alle vittime, ricerca della verità e invito al dialogo e alla riconciliazione la visita che il patriarca di Gerusalemme dei latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha potuto compiere a Gaza assieme al patriarca ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, raccontata nel dettaglio durante la conferenza stampa congiunta a Gerusalemme.
Così come rappresenta un punto fermo, in mezzo allo smarrimento generale, la dichiarazione comune firmata dal presidente Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, e il presidente della Comunità ebraica di Bologna, Daniele De Paz: «Fermi tutti. Tacciano le armi, le operazioni militari in Gaza e il lancio di missili verso Israele. Siano liberati gli ostaggi e restituiti i corpi. Si sfamino gli affamati e siano garantite cure ai feriti. Si permettano corridoi umanitari. Si cessi l’occupazione di terre destinate ad altri. Si torni alla via del dialogo, unica alternativa alla distruzione».
Affermazioni in linea con la manifestazione promossa a Tel Aviv dal movimento Standing Together nella “marcia della farina” per chiedere di fermare la strage a Gaza. Segnali di una parte della società civile israeliana che permettono di aprire un varco nel buio.