Il filosofo americano Michael J. Sandel , con la sua analisi del mondo contemporaneo, permette di ricostruire, come in un vero e proprio viaggio a puntate, la storia del delicato e complesso rapporto fra economia e democrazia nella storia degli Stati Uniti.

Michael J. Sandel
Sono diverse le ragioni per affrontare questo percorso in questo tempo. La prima, di attualità, nasce dall’esigenza di comprendere le radici dell’attuale situazione della democrazia in America, con la sua evidente fragilità e pericolosità, che si riverberano sulla scena mondiale.
Un’altra motivazione risiede nel fatto che il dispiegarsi dell’intreccio fra politica ed economia nel Paese a stelle e strisce ha fatto e fa scuola e tendenza oltre oceano, almeno per tutto quel blocco di Paesi che chiamiamo occidente. E quindi anche per l’Italia.
Terza, ma non ultima ragione, riguarda il tentativo di mappare le condizioni che rafforzano l’esperienza democratica, creando ed alimentando la “partecipazione significativa” dei cittadini.
Sandel, studioso che insegna Teoria del Governo nella prestigiosa università di Harvard ha intitolato il suo corposo lavoro del 1996 “Democracy discontent” – malcontento della democrazia. L’editore Feltrinelli ha scelto come titolo italiano “La democrazia stanca. Nuovi pericoli e possibili soluzioni per tempi difficili”. E che vi sia una certa stanchezza lo verifichiamo anche nella democrazia italiana, basti vedere i dati sull’astensionismo.
Dopo la prima elezione di Trump, Sandel ha sentito l’esigenza di completare la ricognizione storica coprendo i trent’anni che vanno dagli anni ’90 del secolo scorso al presente, convinto che l’affermarsi del tycoon sia un sintomo del logoramento dei legami sociali, in mancanza di un progetto civico di autogoverno.
Vincitori e vinti della globalizzazione ben rappresentano l’esito dell’intreccio più recente fra economia e politica. E in questa luce, si può leggere anche il tentativo di Trump di rivendicare la centralità della politica sfidando Wall Street proprio per rispondere ai perdenti dell’arena economica che lo hanno votato.
A rileggere la storia americana – ma in fondo è una tensione che esiste da sempre fra potere economico e potere politico – si fa evidente come i diversi governi democratici abbiano cercato di intervenire per gestire questo delicato rapporto. Le scelte che riguardano il rapporto fra economia e democrazia rappresentano uno degli elementi fondamentali di distinzione delle forze politiche e impattano nella vita delle persone sia nella veste di cittadini che in quella di agenti economici – consumatori, produttori, finanziatori.
Qui allora sorge la grande domanda che può fare da sfondo al percorso: a cosa serve l’economia rispetto alla democrazia? Le due alternative visioni della libertà – liberale e repubblicana – rispondono in modo molto diverso.
Secondo i liberali il governo è neutrale rispetto ai fini delle persone, quindi l’economia deve occuparsi solo della dimensione e della distribuzione della ricchezza prodotta (P.I.L.).
La tradizione repubblicana ritiene invece che l’economia sia al servizio non solo del consumatore, ma anche del cittadino. Detta con le parole di Sandel: “Se la libertà dipende dalla nostra capacità di partecipare all’autogoverno, l’economia dovrebbe prepararci a essere cittadini e non soltanto consumatori”.
Optando come fa Sandel per la tradizione repubblicana, ci si dovrebbe chiedere: “quali assetti economici sono ospitali per l’autogoverno? In che modo il nostro discorso politico potrebbe accogliere anziché evitare, le convinzioni morali o religiose che le persone portano nella sfera pubblica? E in che modo la vita pubblica di una società pluralista potrebbe coltivare nei cittadini le più espansive comprensioni di sé richieste dall’impegno civico?”
A queste domande potranno rispondere gli incontri che faremo con i principali personaggi che hanno plasmato le istituzioni economiche e politiche degli Stati Uniti, padri fondatori – Jefferson, Hamilton, e Madison – presidenti – Wilson, Roosevelt, Kennedy, Reagan, Clinton, i Bush e Obama – insieme ad economisti – Keynes e M. Friedman.