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Cultura > Economia e democrazia in America 2/

Virtù civiche e politica economica negli Usa

di Giampietro Parolin

- Fonte: Città Nuova

Il confronto tra la visione di Hamilton e quella di Jefferson è all’origine della cultura politica e civile degli Stati Uniti

Dichiarazione di indipendenza. di John Trumbull – US Capitol, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.

Sono tanti gli studiosi che ritengono centrali, per i cittadini americani contemporanei, due questioni legate all’economia: la prosperità e l’equità. Ogni politica economica che risponde a queste esigenze è benvenuta. Tuttavia, questi temi non erano presenti negli anni fondativi dello stato federale, ma sono emersi gradualmente nel corso della storia degli Usa.

Agli inizi, i cittadini e loro rappresentanti si sono concentrati sugli assetti economici più congeniali alla giovane democrazia. La fresca esperienza di potere al popolo creava una certa prudenza di fronte a potenziali concentrazioni di potere che limitassero l’indipendenza dei cittadini stessi.

Non a caso Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti a inizio ‘800, elogia le virtù dei contadini e critica la produzione delle fabbriche, che a suo dire minerebbe l’indipendenza richiesta per essere cittadini. Si spinge a tal punto nella sua argomentazione da sostenere l’importazione di manufatti da Paesi stranieri, piuttosto che adottare la produzione su larga scala.

È paradossale, ma non sorprende per l’epoca, che il politico Jefferson contraddica l’imprenditore Jefferson: nella sua tenuta e nella fabbrica di chiodi, infatti, utilizzava oltre seicento schiavi!  Ma il punto fondamentale della posizione jeffersoniana è l’opportunità di valutare la bontà degli assetti economici a partire dal tipo di cittadini che producono.

L’avversione di Jefferson per le manifatture su larga scala non prevale, ma la sua visione della virtù civica riscuote notevoli consensi, tanto che uno dei suoi più grandi estimatori, Benjamin Franklin, arriva ad affermare: «Soltanto un popolo virtuoso è capace di libertà. Più le nazioni diventano corrotte e viziose, più hanno bisogno di padroni».

A questa aspirazione, si accompagna la consapevolezza che la virtù civica non sia scontata, ma costituisca un bene fragile da proteggere. Già dai padri fondatori, i politici e gli economisti americani, facendo tesoro delle esperienze di democrazia inglese, sono sempre stati molto attenti a tenere insieme libertà e bene pubblico, il quale corrisponde a ben più della somma dei singoli interessi.

La gestione della virtù civica nel pensiero di fine ‘700 si era focalizzata su due tipi di risposte, da un lato quella educativa-culturale centrata sull’etica, dall’altro quella costituzionale determinata dalla norma e dal disegno istituzionale.

Benjamin Rush, formulava la sua proposta educativa orientata al bene comune con questo invito: «Insegniamo al nostro allievo che non appartiene a sé stesso ma è proprietà pubblica. Insegniamo ad amare la sua famiglia ma che, allo stesso tempo, dovrà abbandonarla e persino dimenticarla, qualora il benessere del Paese lo esiga».

Una prospettiva che ricorda quelle dei filosofi europei Hobbes ed Hegel, e che fonda ancor oggi il sistema valoriale e le priorità di gran parte del popolo USA nonostante la cifra individualistica dell’odierna società americana.

La soluzione costituzionale parte invece dalla premessa, ben rappresentata da Alexander Hamilton, che auto interesse ed ambizione siano parti imprescindibili della natura umana, indipendentemente da qualsiasi progetto educativo, al quale Hamilton proponeva in alternativa un assetto istituzionale di pesi e contrappesi in grado di bilanciare tali interessi opposti per orientarli al bene comune.

La ratifica della Costituzione del 1787, preceduta dall’ampio dibattito alimentato dai “Federalist paper”, accoglie sostanzialmente la proposta di Hamilton, senza esaurire il dibattito sulla virtù civica.

La discussione sul “Treasury system”, che fra le altre cose ha fatto nascere la FED (la banca centrale americana) si profila con due opposte fazioni sul tema della finanza pubblica: da una parte i federalisti capitanati da Hamilton, per il quale è uno strumento basilare di costruzione della nazione,  dall’altra i jeffersoniani che la temono come fonte di speculazione monetaria, nonché di legittimare nei cittadini “atteggiamenti inclini al vizio e all’ozio anziché all’operosità e alla moralità”.

Alla fine in parlamento non poteva che prevalere la posizione federalista e istituzionale, così gli Stati Uniti sono diventati una potenza industriale oltre che agricola, ma il tema della virtù civica rimane ancora oggi uno sfondo culturale pregnante.

L’America contemporanea, soprattutto negli angoli più reconditi dei cinquanta stati, esprime l’eredità della cultura jeffersoniana con i valori di  indipendenza, rigore morale e duro lavoro – sia esso in fabbrica o sui campi -. Sono le radici delle origini, quel puritanesimo inglese portato oltreoceano dai padri pellegrini a bordo del mercantile Mayflower.

 

 

 

 

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