24 mesi alimentando la speranza

A due anni dal sisma, più di mezzo milione di haitiani vive ancora in tendopoli o rifugi di emergenza. I più esposti sono i bimbi, in una popolazione la cui metà ha meno di 18 anni
Orfani Haiti
12 gennaio 2010. Esattamente due anni fa si abbatteva su Haiti uno dei sismi più disastrosi degli ultimi secoli, paragonabile a quello che nel 1976 in Cina provocò 255 mila morti ed al terremoto seguito da tsunami che nel 2004 sconvolse Sumatra e Indonesia, provocando 235 mila decessi. Ma nella piccola isola dei Caraibi, di cui Haiti solo occupa circa la metà – il resto è sotto la sovranità della Repubblica Dominicana –, l’effetto del sisma che raggiunse il settimo grado della scala Richter fu particolarmente devastante sugli appena 28 mila kilometri quadrati di questo Stato. I morti furono 230 mila, un milione e mezzo di abitanti perse la casa. Numeri elevatissimi se comparati con la popolazione locale che supera di poco gli otto milioni e mezzo e, soprattutto, se si considera che Haiti è praticamente uno dei Paesi più poveri del mondo. Il cataclisma ha ulteriormente sconvolto questa debolissima economia. Siamo vicini all’equatore e le temperature sono elevate per gran parte dell’anno. Il collasso della già vetusta rete idrica e del sistema fognario e la grande quantità di cadaveri non sepolti acutizzarono l’emergenza, e mesi dopo scoppiò un’epidemia di colera che causò altre 6.800 vittime.
 

L’opera di  ricostruzione dunque dipende direttamente dagli aiuti della comunità internazionale.  Degli 8 miliardi di dollari stanziati ne sono stati sbloccati la metà, e di questi ne sono stati impiegati 2,3 miliardi. E’ vero che un milione di persone circa ha ritrovato un tetto, ma altri 550 mila ancora vivono in tende o in strutture di soccorso, mentre la metà delle macerie attende ancora di essere rimosso. L’obiettivo dell’Onu è riassunto dallo slogan “Build back better" (ricostruire meglio di prima). Non è facile: occorrerebbe un intervento più sistematico e generoso ed anche politicamente più disinteressato. La generosità canalizzata da varie ong (in modo particolare le più piccole, che sono state efficaci e non hanno fatto “business” con i soccorsi, al contrario della gran parte di quelle grandi) o da istituzioni private ha permesso di aggiungere varie gocce a questo mare di dolore. L’Unicef, attraverso succursali come quella  statunitense, la canadese, la spagnola, ecc. ha già utilizzato più di 151 milioni di dollari suddivisi in interventi a sostegno dei piccoli, i più esposti agli effetti del cataclisma (la metà della popolazione haitiana è sotto i 18 anni), e potrà utilizzarne altrettanti stanziati per decine di programmi che abbracciano dalla salute, all’alimentazione all’istruzione. Per Françoise Grulos Ackermans, rappresentante ad Haiti dell’Unicef, si tratta di “tante piccole vittorie”.  
 

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