Sanremo e il caso Cally

Continuano le polemiche sull'esibizione del cantante rap romano al Festival della canzone che in passato ha usato frasi sessiste in alcune sue canzoni. In attesa che la Rai decida.

La sua partecipazione a Sanremo è nota già da tre settimane, ma la polemica è montata in questi ultimi giorni: stiamo parlando di Junior Cally, pseudonimo del ventottenne rapper romano Antonio Signore, che in tre anni di carriera è arrivato a 100 milioni di streaming, 380 mila followers solo su Instagram, e ha visto il suo ultimo album Ricercato arrivare in testa alle classifiche dei dischi più venduti in soli 10 giorni. Fin qui potrebbe sembrare il “semplice” resoconto di una carriera di successo; se non fosse che le sue canzoni si distinguono per parole apertamente violente e volgari, arrivando anche a parlare di un femminicidio (ma non per condannarlo) nella canzone Streghe. Insomma, non esattamente messaggi educativi, specie considerando che il suo pubblico è composto in gran parte da ragazzi e ragazze molto giovani.

Naturalmente ci sono state reazioni a livello politico, dato che Sanremo è trasmesso in Rai, e quindi rientra nell’ambito del servizio pubblico: tra le tante quella di Daniela Santanché, capogruppo di FdI in Commissione vigilanza Rai, che ha presentato un quesito all’amministratore delegato e alla società concessionaria citando anche versi di Junior Cally in cui si offendono lo Stato e le Forze dell’Ordine. Anche il presidente della Commissione di Vigilanza Alberto Barachini ha scritto che «non è accettabile che nel corso di tale evento vengano diffusi messaggi inquadrabili nel fenomeno dell’hate speech»; e Maria Stella Gelmini, capogruppo di Fi alla Camera, ha scritto nel suo blog che «la presenza di Junior Cally sul palco del Festival di Sanremo sarebbe un oltraggio alle donne e a quanti sono impegnati, quotidianamente, contro ogni forma di violenza e di discriminazione. Non è tollerabile che si possa fare di lui un’icona, un modello, un esempio di successo». Lo stesso presidente Rai, Marcello Foa, ha definito “eticamente inaccettabile” la presenza di Cally; ma per ora la partecipazione a Sanremo rimane confermata.

Se però, come ha scritto sul suo sito il docente universitario Marco Brusati, «il problema non è quello che Junior Cally canterà su quel palco. Il problema è che, mentre canta la sua canzone al Festival, in contemporanea canta negli smartphones di ragazzini e bambini», anche il mondo degli educatori si è mosso. Alcuni dirigenti scolastici, su iniziativa della dirigente dell’Istituto Comprensivo Donizzetti di Pollena Trocchia (Napoli), Angela Rosauro, hanno lanciato una petizione indirizzata alla Commissione di Vigilanza affinché Junior Cally non partecipi a Sanremo. «Riteniamo che la Rai in quanto servizio pubblico non debba consentire che questo tipo di messaggi possano raggiungere e nemmeno sfiorare il Festival della canzone italiana, pena un’accusa infamante di complicità e favoreggiamento della violenza sulle donne – scrivono, augurandosi una – immediata e chiara presa di posizione». La petizione al momento ha raggiunto 5586 firme. Il cantautore friulano Pablo Perissinotto ha poi denunciato come, viceversa, un progetto discografico contro la violenza di genere – portato avanti insieme ad amministrazioni locali, associazioni, stampa, emittenti televisive e radiofoniche e scuole – non abbia viceversa trovato l’interesse di alcuna casa discografica, perché ritenuto senza alcuna potenzialità di audience. Con buona pace del fatto che i proventi sarebbero andati a contribuire all’apertura di un centro di ascolto per uomini che si sono resi protagonisti di episodi di violenza ed intendono cambiare corso.

L’ufficio stampa del cantante ha risposto a queste accuse; precisando che la canzone con cui Cally sarà in gara si distingue viceversa per i contenuti antipopulisti, e che le polemiche di questi giorni sono «legate a canzoni pubblicate da anni, in un’età in cui Junior Cally era più giovane e le sue rime erano su temi diversi da quelli di oggi». Difende inoltre la libertà dell’espressione artistica, precisando che «l’arte può avere un linguaggio esplicito e il rap, da sempre, fa grande uso di elementi narrativi di finzione e immaginazione che non rappresentano il pensiero dell’artista. Nessuno penserebbe di attaccare Stanley Kubrick (o Stephen King) per le scene in cui Jack Nicholson rincorre Shelley Duvall in Shining, perché si tratta di fiction». Sarà; vero è però che, per citare sempre Brusati, anche all’interno dell’espressione artistica è necessario «ricominciare a distinguere il bene dal male», specie in un contesto come quello attuale in cui il costante flusso di informazioni in rete rende sempre più labile il confine tra realtà e fiction.

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