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Voglia di donare gioia

di Rosa Maria Cigna

- Fonte: Città Nuova

Nelle case di riposo tanti anziani soffrono di un sentimento di abbandono e solitudine. La musica e l’affetto riescono a strappare sorrisi

Foto Pexels

La proposta della mia amica mi ha colto di sorpresa e la mia risposta affermativa è stata una vera pazzia: questo mi ritrovo a  pensare mentre mi accingo ad iniziare una certa “avventura”.

Le cose sono andate così: lei da anni frequenta una casa di riposo per anziani. Tanti di loro hanno  dei problemi di salute abbastanza gravi o hanno alle spalle situazioni familiari difficili: tanta solitudine, a volte tanto rancore verso chi li ha portati lì e… li ha dimenticati. Lei è tanto vicina a quei vecchietti e fa di tutto per cercare di renderli felici ascoltandoli, portando dei piccoli doni.

Ci conosciamo da tanto tempo e sa che, dopo avere lavorato per tanti anni come medico e aver incontrato tanta sofferenza, negli ultimi tempi mi è venuta la voglia di donare un po’ di gioia e per questo ho cominciato ad organizzare degli spettacoli divertenti, sfruttando il mio senso dell’humor e la mia fantasia.

Per questo mi ha chiesto di fare uno spettacolino in quella casa di riposo: io ho detto di sì con slancio, ma non sapevo a che cosa sarei andata incontro. Ho preparato un piccolo monologo divertente, da realizzare con l’aiuto di cappellini, sciarpe, bastone, borsette… tutti accessori utili per mimare dei personaggi diversi, ma al momento di iniziare lo spettacolo mi accorgo che il pubblico che mi ritrovo davanti è, a dir poco, “originale”.

Alcuni dei vecchietti sono ammalati e poco lucidi, alcuni sordi o non vedenti, altri si lamentano dicendo: «Non ci voglio stare!», e vogliono tornare in camera, alcuni sembrano arrabbiati o proprio del tutto assenti.

È stata una pazzia accettare, penso. Mi viene difficile persino iniziare, figuriamoci se penso di riuscire a farli ridere! «Coraggio!», mi dico. Tiro fuori tutte le mie energie e comincio, trasformando il monologo, lasciando solo le battute più facili da capire. Soltanto alcuni ridono, qualcuno applaude ed io termino lo spettacolo un po’ delusa, mentre una signora esclama a gran voce: «E la musica?».

Quindi si aspettavano della musica, ma io non sono preparata! Non ho strumenti, né CD o altro. Che fare? Posso cantare! – penso. Così comincio a cantare a gran voce tutte le canzoni antiche che conosco o le canzoni napoletane classiche, sceneggiandole come mai avevo fatto, come si faceva ai tempi dell’avanspettacolo, con l’aiuto dei miei cappellini, del bastone…

Succede un miracolo. Tutti cominciano a cantare. Alcune signore conoscono le parole meglio di me. Anche chi non vede o non sente bene canta e batte le mani. Cerco di coinvolgere tutti, soprattutto quelli che mi sembrano più tristi: canto «ed io pian piano le presi la mano» e prendo realmente la mano ad una signora, oppure: «Ho l’ombrello, l’accompagno…» e faccio il gesto di riparare un’altra sotto l’ombrello, poi mi rivolgo ad una signora di nome Maria e canto per lei Parlami d’amore Mariù. Così strappo tanti sorrisi.

La canzone più divertente risulta Zazà, che posso sceneggiare andando avanti e indietro e giocando con il bastone. Alla fine arrivano tanti applausi, ma anche tanti abbracci e baci; un vecchietto mi chiede l’autografo e vuole segnata la data, perché gli sembra una data da non dimenticare. Mi chiedono di tornare ancora.

Io mi sento strana, forse un po’ matta, ma vado via piena di gioia.

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