Voglia di danza

Il Concerto n. 4 di Paganini e la Settima Sinfonia di Beethoven ("l'apoteosi della danza") protagonisti all'Auditorium della Conciliazione, a Roma
Vadim Brodsky

La stagione dell’Auditorium Conciliazione a Roma merita di essere seguita e valorizzata. Prezzi accessibili, orari comodi – domenica pomeriggio alle 17, 30 e lunedì alle 21 – pubblico familiare e giovanile (fischi e urla di approvazione danno vivacità all’insieme), un’orchestra motivata ed un programma che spazia dal popolare al raffinato con continuità.

 

Questa volta i due big sono stati Paganini e Beethoven. Del violinista ligure è stato eseguito il ritrovato (da poco) Concerto n. 4 per violino e orchestra. Ovvia l’influenza dell’amico Rossini nelle melodie carezzevoli e nei ritmi pimpanti. Di suo, Niccolò sbalordisce per i voli acrobatici dello strumento, quella follia di trilli, glissandi, picchiettati che sono il pendant violinistico delle acrobazie vocali delle cantanti rossiniane. Ma questa è musica che non stanca e non sbalordisce soltanto per il virtuosismo. L’ucraino Vadim Brodsky, ex enfant prodige, e ora distinto signore cinquantenne, ha il fuoco slavo addosso, per cui Paganini sembra apposta cucito sulla sua misura.

 

Danzano, l’archetto e le dita, danza il suono, di notevole ampiezza e volume, ricreando dal vivo il mondo del romanticismo “diabolico” del musicista. Che in verità non ha nulla di infernale, ma è una eruzione vulcanica della fantasia nello stato più immaginifico che si possa pensare. Brodsky appare un colosso accanto al minuto direttore cinese Yang Yang, occhialuto dalla tecnica esperta, che interpreta poi la Settima Sinfonia beethoveniana, definita, si sa, da Wagner “apoteosi della danza”, con riguardo all’ultimo tempo. Arcinota, la sinfonia nella direzione di Yang non ha presentato letture particolarmente nuove, tranne la precisione delle “entrate” degli archi (ahimè, non la tromba…), il dinamismo, e quel secondo movimento – l’Allegretto, che piace a tanti pensare come una sorta di “marcia funebre” – ma che è invece un momento di grande dolcezza, cioè quella stasi che in Beethoven segue e precede altri tempi di furore si direbbe dionisiaco: l’ultimo movimento, appunto.

 

Applausi scroscianti per tutti, specie per il violinista.

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