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Venti ettari di futuro: cura collettiva e vita contadina

di Gaia Bonafiglia

La storia di Anna tra neo-ruralità, comunità agricole e ritorno alla terra

Panorama da Olivello, in provincia di Siena (foto Anna Morchio)

Negli ultimi anni, in Italia sono nate numerose nuove imprese agricole guidate da under 35: a titolo di esempio, solo nel 2022 sono state 6.400 (circa 17 al giorno); e Coldiretti, nel suo rapporto Giovani in Agricoltura 2023, stima in circa 50 mila i giovani agricoltori al lavoro nelle campagne italiane. La Coldiretti, come principale associazione degli imprenditori agricoli italiani, raccoglie questi dati e sostiene i giovani nell’avvio delle loro attività. Non si tratta solo di coltivare la terra, ma di costruire nuove forme di comunità, sperimentare stili di vita sostenibili e ricercare un legame più autentico con la natura. Accanto a chi apre aziende agricole moderne e innovative, esiste un filone di giovani che sognano la neo-ruralità: vivere in piccole realtà di campagna, recuperare pratiche tradizionali, combinare agricoltura biologica, educazione e dimensione comunitaria.

Giovani in campagna (foto Anna Morchio)

Dentro questa cornice si inserisce la storia di Anna, 28 anni, che ha scelto di mettere radici in un borgo quasi disabitato sui colli vicino a Siena, nel Comune di Murlo. A Olivello, dove gli abitanti oscillano tra zero e 4, Anna, insieme al suo amico e alleato Ramiro, ha acquistato 20 ettari di terreno, metà coltivabile, metà boschivo, per trasformarli in casa e progetto di vita.

«Ho incontrato la vita contadina per la prima volta dopo il liceo, grazie al WWOOFing», racconta. Con WWOOFing si intende una rete internazionale che mette in contatto volontari e realtà agricole in cambio di vitto, alloggio e apprendimento. «Ero a Cumiana, sopra Pinerolo, per due mesi. A Genova stavo malissimo: il cemento mi soffocava, sentivo il bisogno di fuggire».

Da quell’esperienza nasce la sua passione per la terra. Si iscrive a Economia Agroalimentare a Parma, dove con altri studenti avvia un orto collettivo. Poco dopo, però, capisce che il suo desiderio è viaggiare e scoprire comunità rurali in Italia e all’estero. Nel 2020 si trasferisce a Valli Unite, una cooperativa agricola nei colli tortonesi in provincia di Alessandria, dove sperimenta la vita comunitaria e i ritmi del lavoro agricolo. Poi partono nuove esperienze: in Portogallo e in Colombia, dentro centri di permacultura, un approccio all’agricoltura e alla progettazione degli spazi che cerca di imitare gli equilibri naturali per creare sistemi sostenibili.

Tornata in Italia, Anna si iscrive all’università per diventare educatrice, una scelta che percepisce come vocazione: prendersi cura degli altri diventa per lei un’estensione della stessa cura che pratica nella vita contadina.

Nel 2023 ritorna a Valli Unite per lavorare in vigna, spinta da un senso di irrequietudine e dalla continua ricerca di sé. È lì che cerca di capire se proprio quel luogo, dove si era innamorata della vita contadina per la prima volta, sarà il posto giusto da chiamare sua casa. Le stesse domande se le pone sulla sua città natale, Genova, dalla quale era fuggita, con il desiderio di ritrovare sé stessa.

Nel 2024 torna a Genova per un anno, lavora come educatrice e sperimenta la vita urbana, ma presto capisce che la città non è il suo luogo: «Mi sentivo appesantita, anche se è stato un anno fondamentale per riconnettermi con le persone. Lavorare nell’entroterra ligure come educatrice mi ha fatto capire che voglio dare il mio contributo, ma in un contesto diverso».

Il passo decisivo arriva nel 2025, quando insieme a Ramiro, agronomo, anche lui genovese, con un vissuto tra Italia e Brasile, inizia a cercare un terreno. «C’è stato un periodo in cui tutti i giorni guardavo i terreni in vendita. Ci siamo focalizzati sull’alta Liguria e il basso Piemonte, poi abbiamo deciso di partire con la macchina e spostarci anche un po’ più lontano». Dopo un lungo periodo di esplorazione, a maggio si imbattono per caso in un campo in Toscana. «Ci siamo accampati lì per una notte, e il giorno dopo abbiamo incontrato due signori del borgo che ci hanno detto che quel terreno era in vendita», ricorda Anna. Due mesi più tardi, a luglio, il sogno si realizza: i 20 ettari diventano finalmente di loro proprietà.

«Non lo vivo come l’inizio di una nuova vita», spiega. «È il frutto di tanti anni di ricerca. Qui immagino una casa aperta a molte persone, uno spazio di cura e accoglienza, di cibo prodotto con le nostre mani e sperimentazione. Uno stile di vita antico, in realtà».

La storia di Anna non è un caso isolato: si tratta di una scelta sempre più diffusa tra i giovani, di un’esistenza meno frenetica e più comunitaria. C’è chi recupera terreni abbandonati, chi fonda cooperative, chi avvia fattorie didattiche. In molte regioni italiane si stanno sviluppando esperienze collettive che combinano agricoltura, educazione ambientale e accoglienza sociale. In questo quadro, i 20 ettari di Murlo diventano non solo il sogno di una coppia di amici, ma un tassello di un movimento più ampio che guarda al futuro con speranza e ritorno alla terra.

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