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Cultura > Mostra del cinema

Venezia va sul sicuro

di Mario Dal Bello

- Fonte: Città Nuova

Il Leone d’oro al film molto americano di Jim Jarmusch, l’argento a “La voce di Hind Rajab”. Una edizione sul tema del dolore. L’Italia bene. Ma il primo premio sconcerta

In una combo da sinistra, prima fila Jim Jarmusch, Kaouther Ben Hania, Benny Safdie; seconda fila da sx: Xin Zhilei, Toni Servillo, Gianfranco Rosi. ANSA/ ETTORE FERRARI

Non è tanto un mistero il motivo per cui la giuria presieduta dall’americano Alexander Payne abbia dato il Leone al film Father Mother Sister Brother di Jarmusch, storia di complessi rapporti familiari dai toni un poco malinconici, tre capitoli tra Usa, Irlanda e Francia di un soggetto ormai sfruttato dal cinema e affidato a star come Cate Blanchett, Charlotte Rampling e Adam Driver. Esteticamente corretto, recitato con gusto, lineare in fondo, il lavoro esamina anche il tema del dolore, ma non alza i toni. Così, a quanto pare, la giuria, dopo varie discussioni, ha deciso per un’opera non gridata di buon cinema. Ma certo non all’altezza di altri lavori.

Il tema “famiglia” invece ha gridato in un lavoro italiano, un teatro psicologico come Elisa di Leonardo Di Costanzo, donna omicida dall’animo tormentato, un’indagine sulla violenza che è in ciascuno di noi e che può esplodere (perfetta Barbara Ronchi). Un film non considerato, purtroppo. Grida invece, ed è stato una presenza durante l’intera mostra, The Voice of Hind Rajab, Gran Premio della Giuria. Molti si aspettavano l’oro, ma ha prevalso la politica dell’equilibrio. Giusta? Un film che come altri ci fa fare i conti con la sofferenza, il male che attraversa il mondo e che appare il filo conduttore della Mostra numero 82.

Con risultati differenti. La miglior regia offerta a Benny Safdie per il suo The Smashing Machine, ascesa e caduta di una leggenda della lotta libera (il forzuto e dimagrito, si fa per dire, Dwayne Johnson) premia una sofferenza acuta, mentre rimane in superficie la scelta sofferta in Mother su Teresa di Calcutta. Non certo però in A’ pied d’oeuvre di Valérie Donzelli miglior sceneggiatura –, vicenda di un fotografo che perde tutto e finisce nella miseria, ma tenta di trovare un senso al dolore nella scrittura, come succede in realtà ad alcune persone. La Coppa Volpi per miglior attrice è andata a Xin Zhilei per il mèlo Sun rises on us all di Cal Shangjun (Il sole sorge su tutti noi), storia di una coppia e di un delitto, molto dura. L’attrice, che ha esordito orgogliosamente definendosi “una attrice cinese” ‒ messaggio non molto criptico a ben vedere – e con un troppo lungo intervento da oratrice, ha preceduto la Coppa Volpi al maschile per il nostro Toni Servillo, eccellente ne La Grazia di Sorrentino, film “politico” (pro eutanasia) molto ben fatto, in preparazione per gli Oscar, forse per scelta. Servillo, entusiasta, ne ha approfittato, come altri, per citare Gaza e la Palestina. E, a questo proposito, è stato coinvolgente l’intervento via video del cardinale Pizzaballa che ha “gridato” ancora una volta la disperazione a Gaza.

Ancora l’Italia, che esce bene con il Premio Speciale della Giuria a Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi, vera epopea di Napoli e dintorni e forse del mondo, sotto certi aspetti. Il Belpaese si fa notare pure nella sezione Orizzonti dove vincono come miglior attrice Benedetta Porcaroli, nome ormai noto, per Il rapimento di Arabella di Carolina Cavalli, e come miglior attore Giacomo Covi con Un anno di scuola di Laura Samani. Peccato non ce l’abbia fatta Duse di Pietro Marcello, tanto applaudito dalla stampa.

Naturalmente, ci sono gli esclusi dai premi come L’Étranger di Ozon, interpretato con cura, e poi Guillermo del Toro e il fantasioso Frankenstein. Diplomaticamente evitato un riconoscimento al Mago del Kremlino di Assayas ‒ un silenzio comprensibile o meno in una edizione che di fatto è stata anche molto politica, e non solo con i cortei e le dichiarazioni talora contrastanti, ma con l’aria che oltre il glamour e le decine di eventi collaterali (come quelli promossi dall’Ente dello Spettacolo che ha visto l’intervento del cardinale Tolentino), respirava voglia di una pace che non c’è ancora. Resta la domanda sul senso del dolore che è spesso affiorata. “Dio è nel dolore”, si dice nell’horror di Paolo Strippoli ne La valle dei sorrisi. È forse una riposta possibile?

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