Il Vangelo secondo Caravaggio

Apostolo della luce e del colore, le sue tele sono un campo di battaglia fra Dio e l’umanità

Se lo congeliamo nell’immagine retorica del “pittore maledetto”, Caravaggio rimane l’artista che tutti conosciamo, come Van Gogh. Invece niente di più falso. Anzi, niente di più “a senso unico”. Caravaggio è prima di tutto un cristiano convinto e un cattolico fervente. Mette la propria arte al servizio di un apostolato combattivo, sempre orgogliosamente dalla parte degli ultimi e degli emarginati.

È in questa prospettiva spirituale che possiamo capire meglio i capolavori usciti dal suo pennello: la sua cifra stilistica più notevole – il dialogo drammatico fra luce e buio – esprime visivamente la lotta fra bene e male, il contrasto tra la fragilità dell’essere umano e la tentazione del peccato. E non c’è da stupirsi che questa coraggiosa aderenza al Vangelo degli umili, dal sapore pre-manzoniano, trasudi dalle sue opere.

La distanza fra ideale e reale è per lui così straziante, così radicale e dolorosa, che Caravaggio – dotato di un carattere certamente non facile, sempre inquieto, complesso ed esigente – trasforma le sue tele in un campo di battaglia fra Dio e l’umanità, fra il messaggio di salvezza di cui la Chiesa è depositaria e annunciatrice, e quell’umanità che si dimostra a volte fragile e più spesso sorda e ostinata di fronte a questo altissimo dono celeste.

Caravaggio (1571-1610), che aveva radici lombarde, arriva a Roma dopo aver assorbito dal suo ambiente sociale l’eredità religiosa e spirituale dei due grandi cardinali Borromeo (Carlo e suo cugino Federigo), due figure morali di altissimo livello, tanto che Alessandro Manzoni avrebbe fatto di Federigo un personaggio centrale nello sviluppo della trama dei Promessi sposi. Non solo. Giunto a Roma, Caravaggio prende subito contatto con i suoi conterranei, sensibili a una santità borromea che trova alimento nella centralità di Cristo povero e nella meditazione approfondita e antiretorica del Vangelo.

E ancora non basta. Caravaggio arriva a Roma nel 1594, o almeno a questa data risale la prima attestazione storica, cioè un anno prima della morte di Filippo Neri, il santo della gioia, l’inventore dell’Oratorio, che nel cuore del cattolicesimo aveva lasciato un’impronta profonda e incancellabile, un esempio di vita santa ed evangelica, ispirata alla povertà, all’umiltà e alla letizia.

«La storia e il mito ci consegnano da secoli un’immagine di Caravaggio buia, legata al suo “spirito” tormentato e violento», raccontano i fratelli Morini, Max e Francesco, maestri del giallo e del thriller, che hanno dedicato a Caravaggio un romanzo (Nero Caravaggio) e uno spettacolo teatrale. «In realtà, nel corso della sua breve vita, queste inquietudini caratteriali seppero sorprendentemente convivere con un grande afflato di spiritualità religiosa. Una sensibilità – spiegano – che in lui si formò negli anni dell’infanzia in Lombardia, durante la terribile epidemia di peste del 1575, quando Caravaggio, poco più che un bambino, venne inevitabilmente impressionato dalla straordinaria opera di misericordia di Carlo Borromeo, la cui missione rispondeva all’imperativo evangelico di trovare nei poveri l’immagine del Cristo. La stessa missione dalla quale l’artista, a contatto anche con l’opera evangelica di Filippo Neri a Roma, si sentirà sempre investito, rappresentando nei suoi capolavori di soggetto sacro la luce della salvezza del Messia attraverso la sofferenza e il dolore degli “ultimi”: i poveri, i bisognosi, i malati, i ragazzi e le ragazze di vita».

Con questi richiami e con queste ricostruzioni, ci si può accostare con occhi nuovi al “pittore maledetto” e alle sue opere come La vocazione di Matteo, La Madonna dei pellegrini, La conversione di Paolo e La crocifissione di Pietro, Maria Maddalena in estasi, La cattura di Cristo, La flagellazione, La deposizione e tanti altri. Il Vangelo secondo Caravaggio, apostolo della luce e del colore, forse esprime al meglio la sua visione religiosa con Le sette opere di misericordia: Dio è amore, e chi aiuta e sostiene con amore la sofferenza degli altri si fa simile a lui, realizza concretamente il Vangelo di Cristo.

Ecco così scorrere davanti ai nostri occhi con più consapevolezza una Controriforma pasoliniana: i forti contrasti fra luce e buio, i colori accesi e crudi, la scelta di modelli presi dalla “strada” con una predilezione per le meretrici, la Madonna che accoglie i pellegrini dai piedi sporchi messi in grande evidenza, ma anche la Provvidenza divina che irrompe all’improvviso nella Storia e inonda con la sua luce la debolezza umana, la riempie di stupore con la sua totale gratuità.

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