È una convergenza temporale non casuale quella di novembre: il 2 onoriamo i nostri defunti, mentre il 4 celebriamo la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. Il senso è chiaro: riflettere sul dovere della memoria e sul senso del comune sacrificio. Una riflessione ancora più importante da sottolineare da quando la leva militare non c’è più e, con essa, è scomparso dai pensieri degli italiani il senso del dover tutelare la propria sicurezza, che invece viene demandato solo a chi fa la scelta di diventare volontario nelle forze armate.
Un dovere sacro anima la Giornata delle Forze Armate, un dovere che da Antigone, attraverso i millenni, rituona nel libro, da poco uscito, “Una storia patrimonio di tutti”, del generale Vittorio Antonio Stella. Un libro frutto di quelle stesse tensioni morali.
Antigone non si limita a piangere il fratello: agisce con coraggio silenzioso contro il volere del sovrano. Stella non si limita a commemorare i caduti in Afghanistan: interroga sull’etica di chi ha confidato sulle loro responsabilità. Entrambi comprendono che la memoria autentica è anche impegno per il presente e consapevolezza per un migliore futuro. E che chi sopravvive deve scegliere come fare tesoro di questa storia che mi è stata tramandata? La tradirò con il silenzio e la complicità, o la onorerò con la mia testimonianza?
Il 4 novembre 1918 segnò la fine della Grande Guerra per l’Italia, ma anche l’inizio di una rinnovata memoria collettiva. La tradizione militare italiana, lo sappiamo tutti, è permeata dal culto dei caduti. Ogni caserma ha il suo sacrario, ogni reparto commemora i propri eroi. Oggi che i valori militari sono lontani dalla mente di chi non serve in uniforme, tutto questo rischia di sembrare retorica vuota. È un rischio che il Paese non può permettersi: non è memoria vuota, è il riconoscimento di un debito morale verso chi ha pagato il prezzo ultimo del senso del dovere.
Per un militare questa tensione è particolarmente acuta. L’intera struttura delle forze armate si fonda sull’obbedienza gerarchica, sulla disciplina, sulla fedele esecuzione degli ordini. Ma dopo Norimberga e i processi per crimini di guerra, la sola “esecuzione gli ordini” non è più una giustificazione accettabile. Ogni soldato, ogni ufficiale porta in sé la responsabilità delle proprie azioni.
In questo 4 novembre il libro del generale Stella risuona come un richiamo alla riflessione: che cosa significa comandare, cosa significa porre il coraggio morale come più alta virtù militare, guidare gli altri e assumersi la responsabilità di una scelta difficile, pagare personalmente il prezzo dell’integrità.
E così, come dice Stella, le Forze armate devono formare non solo combattenti tecnicamente preparati, ma soprattutto persone capaci di custodire innanzitutto i valori dei nostri padri. In un’epoca in cui si moltiplicano le missioni complesse, spesso in zone grigie dove il confine tra pace e guerra si fa sfumato, questi interrogativi etici diventano sempre più urgenti.
Il 4 novembre non celebriamo la guerra, ma onoriamo chi ha servito e ha dato la vita, la pace che è insegnata dalla guerra. Come Antigone compiva il suo dovere sacro verso il fratello, noi compiamo il nostro: mantenendo viva quella tensione morale tra obbedienza e coscienza che è il segno di una democrazia matura e di forze armate che si nutrono e servono valori per il bene comune.