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Cultura > Opinioni e dibattiti

Valori militari e culto dei caduti

di Anna Maria De Luca

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sul senso della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il presidente del Senato Ignazio la Russa, il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il ministro della Difesa Guido Crosetto in occasione della cerimonia all’Altare della Patria per la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, Roma 4 novembre 2025. Credit: Ansa.

È una convergenza temporale non casuale quella di novembre: il 2 onoriamo i nostri defunti, mentre il 4 celebriamo la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. Il senso è chiaro: riflettere sul dovere della memoria e sul senso del comune sacrificio. Una riflessione ancora più importante da sottolineare da quando la leva militare non c’è più e, con essa, è scomparso dai pensieri degli italiani il senso del dover tutelare la propria sicurezza, che invece viene demandato solo a chi fa la scelta di diventare volontario nelle forze armate.

Un dovere sacro anima la Giornata delle Forze Armate, un dovere che da Antigone, attraverso i millenni, rituona nel libro, da poco uscito, “Una storia patrimonio di tutti”, del generale Vittorio Antonio Stella. Un libro frutto di quelle stesse tensioni morali.

Antigone non si limita a piangere il fratello: agisce con coraggio silenzioso contro il volere del sovrano. Stella non si limita a commemorare i caduti in Afghanistan: interroga sull’etica di chi ha confidato sulle loro responsabilità. Entrambi comprendono che la memoria autentica è anche impegno per il presente e consapevolezza per un migliore futuro. E che chi sopravvive deve scegliere come fare tesoro di questa storia che mi è stata tramandata? La tradirò con il silenzio e la complicità, o la onorerò con la mia testimonianza?

Il 4 novembre 1918 segnò la fine della Grande Guerra per l’Italia, ma anche l’inizio di una rinnovata memoria collettiva. La tradizione militare italiana, lo sappiamo tutti, è permeata dal culto dei caduti. Ogni caserma ha il suo sacrario, ogni reparto commemora i propri eroi. Oggi che i valori militari sono lontani dalla mente di chi non serve in uniforme, tutto questo rischia di sembrare retorica vuota. È un rischio che il Paese non può permettersi: non è memoria vuota, è il riconoscimento di un debito morale verso chi ha pagato il prezzo ultimo del senso del dovere.

Per un militare questa tensione è particolarmente acuta. L’intera struttura delle forze armate si fonda sull’obbedienza gerarchica, sulla disciplina, sulla fedele esecuzione degli ordini. Ma dopo Norimberga e i processi per crimini di guerra, la sola “esecuzione gli ordini” non è più una giustificazione accettabile. Ogni soldato, ogni ufficiale porta in sé la responsabilità delle proprie azioni.

In questo 4 novembre il libro del generale Stella risuona come un richiamo alla riflessione: che cosa significa comandare, cosa significa porre il coraggio morale come più alta virtù militare, guidare gli altri e assumersi la responsabilità di una scelta difficile, pagare personalmente il prezzo dell’integrità.

E così, come dice Stella, le Forze armate devono formare non solo combattenti tecnicamente preparati, ma soprattutto persone capaci di custodire innanzitutto i valori dei nostri padri. In un’epoca in cui si moltiplicano le missioni complesse, spesso in zone grigie dove il confine tra pace e guerra si fa sfumato, questi interrogativi etici diventano sempre più urgenti.

Il 4 novembre non celebriamo la guerra, ma onoriamo chi ha servito e ha dato la vita, la pace che è insegnata dalla guerra. Come Antigone compiva il suo dovere sacro verso il fratello, noi compiamo il nostro: mantenendo viva quella tensione morale tra obbedienza e coscienza che è il segno di una democrazia matura e di forze armate che si nutrono e servono valori per il bene comune.

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