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Un’italiana negli USA

di Margherita Bassi

Sono nata e ho studiato negli Stati Uniti. Tuttavia dal punto di vista culturale i miei genitori hanno cresciuto me e mio fratello al 100% all’italiana.

Un edificio dell’Università di Seattle, WA, USA. (Zoshua Colah/ Unsplash)

Appena varcata la soglia della dogana in un aeroporto degli Stati Uniti, un italiano non ci mette molto a capire che la vita in America è molto diversa. E non sto parlando solo del cibo, ci sono differenze in quasi tutti gli aspetti della vita. Quando atterro negli Stati Uniti, spesso chiamo uno dei vari servizi di ridesharing tipo Uber o Lyft. Nella mia esperienza, nelle zone dove ho abitato, i trasporti pubblici sono molto limitati e inefficienti, se non proprio inesistenti.

Questo è probabilmente uno dei motivi per cui quasi tutti usano la macchina per andare ovunque, perché non ci sono alternative. Da adolescente non vedevo l’ora di prendere la patente e finalmente avere un po’ di indipendenza nei miei spostamenti. D’altronde, con la scarsità di mezzi pubblici, chi ti accompagna in giro se non i tuoi genitori? Nelle periferie dove ho fatto le superiori, non avevamo né le piste ciclabili, né i marciapiedi. Ho preso la patente a 17 anni, ma in certi Stati si può guidare anche a meno di 15 anni.

I miei amici in Italia mi chiedevano se negli Stati Uniti le scuole fossero come quella dei famosi musical High School Musical. Certo, avevamo gli armadietti, ma nessuno li usava, e c’erano grandi scuolabus gialli, ma ovviamente non cantavamo ogni quindici minuti. Però la scuola aveva un teatro, una banda e un’orchestra. Infatti negli Stati Uniti le attività extrascolastiche sono una parte importante dell’esperienza scolastica, sia alle superiori che all’università. Vengono viste come opportunità per dimostrare le proprie doti, e di essere una persona well-rounded, cioè una persona con diverse qualità e interessi.

Quindi se uno studente vuole sperare di essere accettato da un’università prestigiosa, non basta avere voti alti all’esame di maturità, che tra l’altro non esiste. Deve invece unirsi ad una squadra sportiva o ad un gruppo musicale o dedicarsi a un’attività di volontariato: anzi, possibilmente a tutte e tre queste cose insieme, come ho scoperto con una certa delusione. All’università c’è lo stesso tipo di approccio, però con l’obiettivo di trovare lavoro.

Credo che l’università potrebbe rappresentare una delle esperienze più radicalmente diverse rispetto all’Italia. Innanzitutto, molti studenti, me inclusa, escono di casa per vivere nei dormitori dei campus, anche se l’università è vicino a casa. La frequenza è obbligatoria, ci sono compiti giornalieri e tutti gli studenti devono seguire certi corsi detti core classes (corsi base) cioè materie tipo scrittura, letteratura, filosofia e matematica, anche se lo studente intende laurearsi in tutt’altro. L’idea è quella di continuare a formare studenti well-rounded. E per gli studenti che non sanno ancora cosa vogliono studiare, li aiuta ad esplorare le varie possibilità.

A questo punto vi starete chiedendo: ma lo studente cosa ci fa all’università se non è già convinto di quello che vuole studiare? Negli Stati Uniti molti studenti iniziano l’università senza le idee chiare, con l’obiettivo di decidere cosa scegliere entro la fine del secondo anno. Una volta scelto un corso specifico di studi, la nuova meta è trovare un tirocinio da completare durante l’estate tra il terzo e il quarto anno. Dopo il tirocinio, le aspettative sono di firmare un contratto di lavoro, anche prima di laurearsi, così non c’è nessuna pausa nel curriculum vitae.

La mia impressione è che a molti negli Usa, le pause facciano paura, e più una persona è impegnata, meglio è. Si dà poca importanza al tempo libero, alla creatività che può nascere dall’inattività. Sia nel mio percorso accademico che in quello lavorativo, ho incontrato molte persone che si lamentano di quanto sono impegnate e stressate, ma questo è in realtà più un vanto che una lamentela.

Naturalmente, questo spirito nutre una grande spinta al successo professionale, un’aspirazione che spesso porta le persone a trasferirsi lontano da casa. Per questo è difficile incontrare qualcuno che sia nato, cresciuto, e abbia messo su una propria famiglia nello stesso posto. La cittadina dove ho frequentato le superiori, per esempio, è il tipo di posto dove le famiglie si trasferiscono proprio per mandare i bambini in buone scuole pubbliche. Quando il figlio più giovane se n’é andato all’università, i genitori si trasferiscono.

Mio padre dice spesso che noi quattro siamo cittadini del mondo. Probabilmente non lo saremmo mai stati se lui e mia madre non si fossero trasferiti negli Usa. Io ho scelto di vivere le mie due dimensioni, quella italiana e quella americana, non come una contraddizione o una contrapposizione, ma come una ricchezza.

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