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In profondità > Viaggi apostolici

Una società è viva se è plurale. Bilancio di Leone XIV in Turchia

di Roberto Catalano

Il primo viaggio del papa, nel Paese ponte tra Asia ed Europa. Il programma del nuovo papato: unità in ambito ecumenico, apertura al dialogo con l’Islam e costruzione di ponti per la pace e il bene comune della famiglia umana.

Papa Leone e Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, durante una dossologia nella chiesa patriarcale di San Giorgio, Istanbul, Turchia, 29 novembre 2025. ANSA/ ufficio stampa Vatican Media

Un tempo, dopo i primi mesi di un nuovo pontificato, l’attesa era quella del primo documento – normalmente una enciclica – del nuovo pontefice. Da quelle righe si cercava di capire quale sarebbe stata la linea portante del nuovo pontificato e quali le sue priorità. Ormai da vari decenni, accanto al primo documento, a offrire una chiave di lettura fondamentale per comprendere il profilo del nuovo papa e della sua ‘politica’, si attende di conoscere e di seguire il suo primo viaggio. È quello che è successo in questi giorni con la visita di Leone XIV in Turchia e succederà, nei prossimi giorni, in Libano.

Il viaggio in Turchia era già stato previsto per la tarda primavera scorsa da papa Francesco, ma la sua malattia e scomparsa lo hanno reso impossibile. Leone XIV lo ha mantenuto nell’anno in corso, primo grande segno molto indicativo. Il viaggio nel Paese ponte fra Asia e Europa non era un caso. Si trattava, infatti, di celebrare i 1700 dallo svolgimento del Concilio di Nicea, evento fondamentale per la cristianità, voluto nel 325 dall’imperatore Costantino e luogo e momento di formulazione del Credo.

Dunque, una prima chiave di lettura del nuovo papato sta nella parola ‘unità’: quel Concilio, in un certo senso ne era il simbolo. Leone XIV ha, dunque, fra le sue priorità quella dell’unità fra i cristiani. Lo dimostra non solo il viaggio in corso, ma anche i segni: la preghiera comune a Nicea sui ruderi della Chiesa del IV secolo con rappresentanti di venticinque chiese che hanno accettato l’invito a essere presenti a questa celebrazione comune. Ma sono state ancora troppe le assenze, particolarmente nel mondo ortodosso, a cominciare da quella scontata del Patriarca Kiril di Mosca.

Importante anche l’incontro a porte chiuse con i capi delle varie Chiese cristiane, e, soprattutto, la dichiarazione comune, firmata da Leone XIV e Bartolomeo.

Infine la proposta di iniziare insieme il ‘viaggio spirituale’ verso il Giubileo della Redenzione che si celebrerà nel 2033, a due mila anni dalla morte e resurrezione di Gesù. Il sogno espresso da Leone XIV e dai capi delle Chiese è quello di ritrovarsi fra otto anni a Gerusalemme, insieme, nella città Santa dove tutto avvenne.

E qui emerge da subito su quale direttiva il pontificato di Prevost si muoverà: arrivare ‘insieme’ a Gerusalemme dopo duemila anni. Un po’ come fu per Giovanni Paolo II, condurre la Chiesa nel terzo millennio. La speranza, come si legge nella Dichiarazione congiunta, è anche quella di arrivare alla ‘data comune’ per la celebrazione della Pasqua. Dunque: obiettivi chiari in vista del 2033.

Altro aspetto emerso in questi giorni con il segno tangibile della visita alla Moschea blu è quello dell’apertura al dialogo interreligioso, soprattutto verso il mondo musulmano. Leone XIV non è il primo pontefice a entrare in quella moschea, costruita dal sultano Ahmet all’inizio del XVII secolo e arricchita di 21.043 piastrelle di ceramica turchese. Da qui il nome di Moschea Blu.

Ma la visita a una moschea da parte di un Papa non è mai un segno scontato: è sempre una dichiarazione esplicita di voler dialogare, sia pure nel rispetto delle diverse identità e tradizioni. E anche questo messaggio è passato con chiarezza e semplicità, come è nello stile che stiamo conoscendo nel pontefice americano.

Infine due altre parole, molto legate fra loro ponti e pace. Fin dalla sua prima tappa a Ankara, interamente istituzionale, il papa ha espresso collegamenti chiari fra il Paese dove si trovava in visita, da sempre considerato ‘ponte’ fra Asia e Europa, e la priorità assoluta della pace a livello mondiale.

Ankara non è una sede secondaria nella geopolitica attuale. La presidenza – quasi sultanato – di Erdogan ha trasformato la Turchia in un polo importante per il mondo musulmano. Non sono un segreto per nessuno le mire del Presidente turco di mostrare come il suo Paese possa diventare – e forse già lo considera tale – un terzo polo di riferimento dell’Islam attuale, accanto a Riad e a Teheran.

In secondo luogo, nel corso degli anni e, soprattutto, in tempi recenti Erdogan ha proposto di fare da intermediario di pace fra leader di Paesi in guerra. Dunque, l’intervento di Prevost nel grande Palazzo di Ankara ha offerto un chiaro senso della sua geopolitica in un contesto non secondario.

Leone XIV ha augurato alla Turchia di essere fattore di stabilità e di avvicinamento fra i popoli a servizio di una pace giusta.

Ha ricordato come il mondo attuale abbia bisogno di personalità di riferimento che favoriscano il dialogo e lo pratichino come risposta a coloro che mostrano di avere strategie di potere economico e militare. Le vere sfide della ‘famiglia umana’ attuale sono la pace e la lotta contro fame e miseria, oltre che educazione e salvaguardia del creato.

Per realizzare tutto questo ecco la necessità di ponti, di cui la Turchia, oltre a esserne un simbolo culturale e geografico, è ricca, soprattutto nella metropoli di Istanbul. Non è mancato un accenno a Giovanni XXIII, ricordato dal presidente come “papa turco” per la profonda amicizia che lo legò a quel popolo.

E, infine, un appello che è bene considerare non solo rivolto alla Turchia: fa parte dell’agenda geopolitica del nuovo papato, come lo era anche per Francesco: «Tutti siamo figli di Dio e questo ha conseguenze personali, sociali e politiche. Chi ha un cuore docile al volere di Dio promuoverà sempre il bene comune e il rispetto per tutti». «Una società è viva se è plurale. Sono i ponti fra le sue diverse anime a renderla una società civile». Dunque, in sintesi parole semplici, ma con un valore di grande perso: ‘unità nell’ambito ecumenico’, ‘apertura al dialogo con l’Islam’ e ‘costruzione di ponti’ per la ‘pace’ e il ‘bene comune della famiglia umana’.

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