Una società alla ricerca della felicità

Intervista al sociologo Paolo Corvo su tre temi fondamentali della società attuale: relazioni, benessere, felicità
Felicità

Negli ultimi anni non solo i consumatori, ma anche la sociologia, la psicologia, la filosofia e l’economia hanno preso a trattare con intensità i temi del benessere e della felicità sociale e individuale, rileggendoli con lo spettro dei processi di globalizzazione.

 

Forse non se ne parla a sufficienza e compiutamente, anche se la grancassa comunicativa ne parla eccome, ma spesso dicendo altro. Comunque il dibattito più recente trova molte voci concordi nell’affermare che gli idoli materiali della società non garantiscono l’esperienza della felicità ed anzi creano situazioni di profondo disagio, acuendo la fragilità dell’essere umano. Sembra proprio la cronaca stringente di questi giorni!

 

L’Amore, non a caso con la maiuscola, ad esempio, secondo i classici della sociologia, potrebbe costituire una via privilegiata verso la felicità, anche se non si possono nascondere le difficoltà.

Una via che molti autori indicano come fondamentale per raggiungere o mantenere uno stato di felicità, è quella di guardare oltre il proprio essere, aprendosi agli altri, alla società, alla cultura e alla conoscenza del mondo, tutti elementi che possiamo chiamare relazionali.

 

Ma in questo senso ci sono anche fraintendimenti. Quando parliamo di relazione parliamo di un aspetto, di un concetto forte e pregnante che “lascia il segno”, porta benefici. Il sempre presente e sempre citato sociologo polacco Bauman, sottolinea che c’è il pericolo del trasferimento delle logiche consumistiche alle relazioni interpersonali e alle scelte di vita degli individui, al loro modo di concepire la società e il mondo. E la dimensione “etica” delle relazioni rischia di essere soffocata nelle cattedrali del consumo, quegli ipermercati che ormai connotano il luogo ed paesaggio delle nostre città, quali nuove piazze, nuovi circoli.

 

Abbiamo voluto approfondire l’argomento con un esperto, appassionato e competente, il sociologo Paolo Corvo, docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Bra-Pollenzo (Cn), con precedenti esperienze didattiche all’Università Cattolica di Milano.

 

Prof. Corvo c’è una generalizzata ricerca del benessere, in qualche modo della felicità…

«Ci sono diverse modalità in tal senso. Intanto c’è da dire, subito, che è cambiato anche il concetto stesso di salute, che non è più intesa come assenza di patologia, ma si intende con un valore positivo: devo stare bene complessivamente. È un benessere strettamente legato alla felicità, a tutta una serie di stimoli anche di carattere psico-fisico – vita all’aria aperta, buon cibo, vacanze di un certo tipo, ecc. – legati all’aspetto relazionale, alla propria identità in rapporto con le altre persone, ma legati anche ad una visione spirituale, che non è strettamente connessa a bisogni “religiosi”, ma che vede una ricerca di valori più profondi. Penso ad esempio ad una tendenza che si rivolge alle tradizioni orientali, che offrono una serie di stimoli come una certa medicina alternativa, cibi molto rigorosi, modi di pensare e stili di vita, che però sono significativi all’interno di uno specifico substrato culturale ed ambientale, che troppo spesso nel mondo occidentale si bypassa e non si conosce. Queste realtà non dovrebbero essere assecondate in modo radicale, ma non possono neppure essere negate, anzi occorre intercettarle per conoscere le esigenze di un mondo in profonda ricerca ed in difficoltà rispetto ad una realtà scontata e definita, tecnologica, che non risponde più ad esigenze profonde della donna e dell’uomo di oggi».

 

La ricerca dell’esotico, dell’alternativo può creare qualche rischio?

«È paradossale il fatto che spesso si scelgono percorsi legati al consumo esasperato per uscire dalla crisi, dalla frustrazione e da quello che in sociologia chiamiamo “conflitto” ed invece, dopo una parentesi più o meno felice, di benessere, si viene risucchiati nello stesso vortice da cui siamo usciti, con la riproposizione, forse aggravata, di tutto quello che volevamo rifuggire. Credo che un vero benessere non possa prescindere, al di là delle scelte e delle “cure” che vogliamo preferire, dalla quotidianità, dall’affrontare tutto ciò che si vive; direi che dovremmo trovare le ragioni in un benessere-quotidianità, piuttosto che benessere-straordinarietà che ci riporta ad un concetto negativo di recupero e non di crescita di benessere».

 

Oggi il lavoro è spesso alternativo al benessere.

«C’è senz’altro da ripensare ad un nuovo sistema sociale. Certo non incoraggia, in questa crisi attuale, il fatto che il lavoro sia tornato ad essere il centro della vita di una donna e di un uomo, spesso sacrificando tutte le altre dimensioni e modificando, di fatto, senza quasi che ce ne accorgiamo tutto il nostro stile di vita. Qui siamo  nella più stretta attualità perché il dibattito serrato verso le nuove contrattazioni non riguarda solo il mondo del sindacato e delle aziende. Pensiamo ad esempio all’apertura dei negozi a lungo orario e nelle festività, persino i giorni di Natale, Pasqua e Ferragosto, considerati prima off-limits. Un amico che ha aperto recentemente una libreria in franchising ha dovuto firmare un accordo che prevedeva 90 ore settimanali, 12/13 ore giornaliere dal lunedì alla domenica, con un solo collaboratore per 20 ore settimanali. Alla fine ha accettato, ma a che condizioni? Tutto questo avviene dopo solo qualche anno in cui si parlava di conciliazione di tempi di lavoro e tempi personali e si prevedeva una società con più tempo libero. Certo rispetto agli inizi del Novecento sono cambiate molte cose, ma si sta ritornando indietro piuttosto che avanti».

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons